L'ANNIVERSARIO

Quattro anni senza Johan Cruijff, il “Profeta del gol” che ispirò Guardiola

Il 24 marzo 2016 morì il fuoriclasse olandese, uno dei più grandi calciatori di sempre, che anche da allenatore seppe stravolgere il gioco

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Capelli lunghi, occhi vispi, cervello che ripeteva come un mantra una parola: rivoluzione. Johan Cruijff morì quattro anni fa, il 24 marzo 2016, dopo una dura battaglia contro il cancro ai polmoni. Ma come tutti i rivoluzionari è sempre nella testa di chi porta avanti le sue idee o, quantomeno, le ha apprezzate. Soprannominato il “Profeta del gol”, ma anche il “Pelé bianco”, Cruijff è ritenuto uno dei più grandi calciatori di ogni epoca, mitico al punto da rendere iconici persino un numero, il 14, e un colore, l'arancione.

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Se si allarga il discorso al contributo fornito da allenatore e “filosofo” del gioco, l'olandese ha inevitabilmente scalato le (poche) posizioni rimaste, fino a diventare l'uomo di calcio più influente della storia. Sul prato verde non c'è mai stato nessuno altrettanto decisivo sia in abiti da gioco che in quelli, più classici, della panchina. Cappotto e cravatta, perlopiù. 

Nato ad Amsterdam nel 1947 come Henrik Johannes Cruijff, figlio di papà Manus (il cui passaporto registrava Cruyff, alimentando l'incertezza sulla grafia del cognome) e mamma Petronella, Johan rimase orfano del padre sin da ragazzino. Petronella cominciò a lavorare come addetta delle pulizie presso lo stadio dell'Ajax, il De Meer. Difatti, la talent scout di Cruijff fu proprio la madre: è stata lei a portare il 12enne figlio allo staff del settore giovanile.

Un regalo dal nulla, ma era un pacchetto fragile. Il giovane Cruijff seguì un programma di rafforzamento muscolare, perché il fisico in effetti era l'unica cosa che gli mancava. Visione di gioco innata, piede fatato, progressione imprendibile, personalità da vendere, il pacchetto-base era già completo. A 17 anni esordì con l'Ajax e fu amore a prima vista con i tifosi: era per tutti “Jopie”, ma ben presto diventò il leader di una squadra destinata a cambiare il calcio al punto tale da rendere inevitabile l'aggiunta di un aggettivo. Quello giocato dall'Ajax allenato da Rinus Michels (1965-1971) era infatti il calcio totale, dove non esistevano posizioni predefinite e fisse. Vero è che Alfredo Di Stefano, forse il giocatore più paragonabile a Cruijff, copriva da anni tutto il campo, ma era un singolo: il grande Ajax era composto da 11 illusionisti che con i loro movimenti facevano sparire il pallone per poi recapitarlo in rete. 

I giocatori dei Lancieri eleggevano al loro interno il capitano e Cruijff lo divenne nel 1972. Proprio la fascia fu uno dei motivi per cui lasciò Amsterdam per accettare la corte del Barcellona: i compagni, dopo una sola stagione, non lo confermarono come capitano. Scelta coraggiosa, altrove avrebbero cercato di tenersi buono il più forte. E Johan era indiscutibilmente il giocatore offensivo più forte della sua epoca, in un calcio che aspettava il suo messia nell'intervallo tra Pelé e Maradona. Il coraggio e l'orgoglio (insieme al fiuto per i guadagni) non gli mancavano: nel Mondiale del 1974 l'Olanda era sponsorizzata Adidas, ma Cruijff era un uomo della Puma; così strappò una delle famose tre strisce da maglia e pantaloncini. Matematico, dato il suo carattere, che si sentì tradito dai compagni dell'Ajax: prese il primo volo per la Catalogna, raggiungendo il suo mentore Michels. Non sapeva (o forse sì?) di aver appena iniziato un altro capitolo della sua leggenda, forse addirittura più importante rispetto a quello olandese.

Mentre il palmarès individuale registra tre Palloni d'oro, con l'Ajax (in cui giocò anche dal 1981 al 1983) vinse nove campionati, sei coppe nazionali, tre Coppe dei Campioni consecutive, una Supercoppa Europea e una Coppa Intercontinentale, segnando 252 gol nei primi 9 anni tra i professionisti: tra le sue vittime anche Inter e Juventus, che si arresero in finale rispettivamente nel 1972 e nel 1973. A Barcellona, da calciatore, non conquistò molti trofei: “solo” un campionato e una coppa nazionale in cinque stagioni. Ma i blaugrana, che la spuntarono sul Real Madrid, non erano certo quelli di adesso: Cruijff li portò alla conquista della Liga dopo 14 anni, in una stagione epica, forse la migliore dell'olandese (1973-74). Quell'anno fu il protagonista di vittorie memorabili (ad esempio il 5-0 in casa del Real) o di gol leggendari: uno di tacco, al volo, contro l'Atletico Madrid gli valse il soprannome di “Olandese volante”.

La stagione si chiuse con il Mondiale tedesco. Si possono reperire facilmente filmati di quelle partite: l'Olanda dava la sensazione di giocare con più uomini. Ovunque c'erano maglie arancioni, pronte a sopraffare gli avversari. Cruijff e Michels, sempre loro due, i burattinai. Uno in campo, l'altro quasi un privilegiato in prima fila, ad ammirare quanto costruito. Dalla panchina arrivavano poche correzioni, l'Olanda era una macchina ed era chiamata l'“Arancia meccanica”: gli Oranje diedero spettacolo contro Argentina, Bulgaria, Uruguay e superarono un Brasile costretto addirittura a picchiare per fermarli. Vinsero anche contro la Germania Est e arrivarono in finale, dove condensarono in un minuto il loro calcio. Rete di passaggi volutamente ipnotizzante, ritmo lento, poi l'accelerata di Cruijff: Hoeness lo stese in area, rigore poi trasformato da Neeskens. La Germania Ovest padrona di casa toccò per la prima volta il pallone per riprendere il gioco dallo 0-1. Sfortunatamente per l'Olanda, Vogts trovò le contromisure a Cruijff, seguendolo ovunque, come Gentile con Maradona e Zico otto anni più tardi: i tedeschi ribaltarono il risultato e si presero il Mondiale. Ma se per entrare negli almanacchi occorre vincere, per entrare nella storia bisogna farsi ricordare, e quell'Olanda è tuttora nella memoria collettiva.

La carriera agonistica ad alti livelli terminò a 31 anni. Per una partita indossò anche la maglia del Milan, nel 1981. Tre anni dopo, lo stop definitivo. Già nel 1985, a 200 giorni dal suo ritiro, si sedette in panchina. Cominciò proprio dall'Ajax, dove vinse due coppe nazionali e una Coppa delle Coppe. Poi, nel 1988, il Barcellona, come a ripercorrere la carriera da giocatore. In blaugrana, oltre a conquistare quattro campionati di fila e una Coppa dei Campioni ai danni della Sampdoria, Cruijff fu rivoluzionario ancora più che da calciatore: uniformò i moduli e lo stile delle giovanili a quello della prima squadra e allenò i suoi ragazzi non tanto a seguire uno schema, quanto a pensare con una giocata di anticipo. In diverse sessioni toglieva addirittura le porte: non servivano, l'importante era custodire il pallone come se fosse un figlio. A seguirlo, con gli stessi occhi vispi che aveva da giovane, c'era Pep Guardiola, che portò nel tiki-taka i concetti dell'olandese. Aggiornandoli, ma anche riprendendoli semplicemente: Cruijff era decenni avanti a tutti. 

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