LA CAPOLISTA

Pioli, Ibra e il gruppo: l'anno magico del nuovo Milan 

Dallo scatto post-Covid alla conferma del tecnico e dello svedese: perché i rossoneri non sono più una sorpresa

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Basterebbe la lunga lista di fredde statistiche, ma c'è qualcosa nel miracolo rossonero di Stefano Pioli che va ben oltre i numeri che aggiornano record. All'indomani della vittoria sudata ed entusiasmante contro la Lazio che permette al Milan di chiudere il 2020 davanti a tutti in classifica, viene innanzitutto naturale chiedersi quanti indizi servano per trasformare in una prova scudetto il cammino di Ibra e compagni. Ibra, appunto, che resta al centro di un progetto fin qui vincente ma sulle cui assenze, forse maggiormente che sulla sua presenza forte in campo e fuori, la squadra ha in fondo alimentato la propria forza. Per capirci: i dieci gol dello svedese in questa prima parte del campionato sono un macigno non trascurabile, ma la grande forza di questo gruppo è stata proprio quella di sopravvivere e vincere anche senza il suo leader carismatico (Zlatan ha giocato solo 6 partite su 14).  Andiamo oltre: nel momento più delicato, immediatamente dopo due pareggi così così (Parma e Genoa), il Milan, indebolito tra l'altro dagli infortuni di Bennacer e Kjaer e dalla squalifica di Kessie, avrebbe potuto crollare sotto la pressione della rimonta dell'Inter. Invece ha chiuso l'anno con due vittorie pesantissime contro due dirette concorrenti (Sassuolo e Lazio) e allungato su tutti tranne che sui nerazzurri di Conte. E' stato squadra, è stato gruppo. Di nuovo, quindi: quanti indizi servono per trasformare in prova scudetto il cammino dei rossoneri?

Capire cosa sia successo dal post-Covid a oggi non è semplice, ma certamente si sono incastrati una serie di fattori che hanno trasformato una squadra sconclusionata in una macchina quasi perfetta. Della partita contro la Lazio restano due immagini: la cattiveria con cui il Milan si è preso i tre punti ancora una volta nel finale e la festa di un gruppo che è unito come pochi e che sa stringersi dentro se stesso e attorno al suo allenatore.

E qui va aperto un capitolo importante. Stefano Pioli ha fatto un miracolo. Gli va riconosciuto. Intanto perché sul suo nome, quando venne scelto da Maldini e Massara, c'erano non poche perplessità. Quindi perché è riuscito dove avevano fallito tutti i suoi predecessori. Ha dato gioco e identità a una squadra che adesso sa sempre quello che deve fare e dentro queste certezze ha imparato a gestire e superare le emergenze. E ha, appunto, contribuito a creare un gruppo che rema nella stessa direzione, che non ha paura e che gioca con spensieratezza e, in parte, con una giovane arroganza. Il Milan non è primo per sbaglio. Sono mesi che gioca bene e sono mesi che fa più punti di tutti. Dell'Inter, unica inseguitrice, ma anche della Juve, del Napoli, dell'Atalanta e di tutte le altre. Potrà anche essere sempre in bilico su un precipizio, pensiero che accompagna le speranze delle sue rivali, ma da quel filo sospeso nel vuoto è riuscito ad allungare una striscia di partite senza sconfitte che adesso, nel nostro campionato, è unica. E significativa. 

In questa compattezza che accumula punti, il Milan è una squadra che sa giocare a pallone, che ha limiti che in fondo sono la certezza di un margine di crescita su cui poter ancora lavorare, ma che ha dimostrato anche di avere qualità tecnica e temperamentale, identità precisa e unità di intenti. Può anche non bastare per arrivare fino al traguardo davanti a tutti, ma è certamente il punto di partenza, e di distanza, da cui osservare avversarie che invece hanno lasciato trasparire debolezze e affanni, scivolando in piccole crisi che hanno allargato il solco tra i rossoneri e chi li insegue. Ibrahimovic ha portato esperienza e sfrontatezza, costringendo un gruppo giovane ad assumersi le proprie responsabilità e a coltivare l'attenzione e la dedizione giorno dopo giorno. Pioli ha portato la tattica e la gestione del tempo. Maldini e Massara - senza dimenticare il lavoro di Boban - hanno lavorato per costruire una rosa competitiva, Gazidis è riuscito a mettere da parte la sua idea europea di progetto, sposando la linea Pioli e abbandonando la pista Rangnick. Il miracolo Milan - che non è un miracolo, è lavoro - è l'insieme di idee e scelte corrette. Tutte. Fin qui e, fin qui, oltre quei momenti difficili che, parole di Pioli, sarebbero arrivati e che per il momento sono stati superati brillantemente e senza pagare il conto. 

A gennaio sarà di nuovo il momento di tirare una riga e ripartire. Immaginare che possa essere l'occasione per rinforzare la rosa e puntare concretamente allo scudetto è logico, ma il prossimo Milan, quello che dovrà correre fino a maggio, sarà al massimo ritoccato e solo se si potranno inserire giocatori funzionali al progetto e immediatamente utili. Si lavorerà per allungare la coperta dove è corta. Il difensore centrale è quasi un obbligo, in mezzo al campo servirebbe un uomo in più, in attacco il vice-Ibra è un lusso necessario. Poi toccherà di nuovo a Pioli e di nuovo al gruppo. Ma gli indizi di un 2020 così sono una prova che non si può più nascondere: questo Milan è da scudetto. Oltre ogni aspettativa, oltre ogni speranza, oltre ogni emergenza.

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