L'ANALISI

La forza dell'Inter è l'identità: sempre uguale a sè stessa come solo le grandi sanno essere

Partite semplici o scontri diretti, squadra A o squadra B: il risultato è sempre lo stesso cioè una squadra che sa gestire il pallone e verticalizzare meglio di tutti

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Il ruolino di marcia dice 22 vittorie, 3 pareggi e una sola partita persa, con la non trascurabile appendice di una Champions League fin qui senza sconfitte. Ma se è vero che le statistiche non mentono, come dicono gli americani, il campo è ancora meno bugiardo. La qualità di questa Inter si vede in ogni partita, in ogni azione, in ogni esultanza. L'identità di una squadra che è stata costruita con idee ben precise. 

L'anno scorso alla ventiseiesima giornata la classifica diceva: Napoli primissimo, Inter staccata di 18 punti. Su un discreto numero di bicipiti e di tibie comparivano già scudetti tricolori con il numero 3, alla faccia della scaramanzia tradizionale da sempre praticata sotto il Vesuvio. I dodici punti che separano oggi l'Inter dalla Juventus sono un margine meno rassicurante, ma i tatuatori possono cominciare a farsi un'idea di come rappresentare le due stelle, corollario immediato di questo ventesimo scudetto sempre più vicino. I segnali vanno tutti in questa direzione: non solo l'Inter oggi ha 69 punti (l'anno scorso il Napoli era a 68) che significa un ritmo più alto di quello spallettiano, ma ha allungato in maniera impressionante nell'ultimo mese. Segna quattro gol a partita. E soprattutto gioca bene. Molto bene. 

Proprio questo è l'aspetto che più colpisce di questa squadra: l'identità. La capacità di essere sempre uguale a sé stessa nella maniera di stare in campo. Vero che le vittorie fanno morale, che vincere aiuta a vincere, come dicono sempre i diretti interessati. Però poche squadre nella storia recente sono riuscite a mostrare un calcio così omogeneo tra le varie situazioni: che scendano in campo i titolarissimi o una formazione "da riposo" con cinque-sei alternative, che si affrontino scontri diretti oppure gare agevoli contro avversarie di retroguardia, l'atteggiamento e il modo di affrontare l'impegno sono sempre uguali. Una sicurezza quasi al limnite dell'arroganza, un'autostima che si appoggia su basi solidissime e che con Darmian ha già mandato in rete quattordici giocatori. 

Nessuno sa gestire il pallone meglio di questa Inter in Italia. Pochi in Europa. Qualità di tocco e senso del collettivo. Nella gara con l'Atalanta, il reparto era formato da Barella, Asllani e Mkhitaryan. Curiosità: numero 23, 21 e 22 rispettivamente. Quando gioca Calhanoglu con il 20 cambia poco anche se cambia in meglio, sono numeri su cui qualunque allenatore vorrebbe puntare ben sapendo che a differenza della roulette qui si vince comunque. Poi però c'è quella potenza devastante negli ultimi trenta metri, c'è quella capacità di verticalizzare che toglie ogni speranza agli avversari. E qui il merito è tutto del 10, di un Lautaro che oltre ad avere collezionato 23 gol in serie A può anche permettersi di sbagliare un rigore senza conseguenze drammatiche. Se c'è lui, può fare ambo con il 9 (Thuram) ma anche con l'8 (Arnautovic). Può permettere ai suoi esterni di crossare a occhi chiusi, può costringere gli avversari e starsene lì, pregando solo che la serata non sia di quelle giuste per il Toro. Quest'anno sono state tutte giuste. E Marotta farà bene ad accelerare la trattativa per il prolungamento del contratto, anche a costo di investire un milioncino in più che da qualche parte salterà fuori. 

Nel passato di Simone Inzaghi ci sono stati degli inverni complicati, sia ai tempi della Lazio sia nei primi due anni interisti. Flessioni abbastanza evidenti nei gironi di ritorno. Al momento questa non sembra un'eventualità da prendere in considerazione. Nel 2024 ha sempre vinto, undici partite su undici, ha passato indenne anche l'andata di Champions League, che ha vinto senza pagare dazio in campionato. L'ultimo ostacolo verso la seconda stella potrebbe essere proprio la Champions con il suo fascino e con i suoi oneri, ma l'anno scorso i nerazzurri sono arrivati in finale rimontando anche in campionato fino al terzo posto e mettendo in bacheca la Coppa Italia. Ulteriore particolare a favore di Inzaghi e dei suoi: l'unità del gruppo squadra è di quelle che lasciano incantati anche gli avversari. Fa parte dell'identità, fa parte dei segreti che fanno grande una squadra. 

 

 

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