L'EDITORIALE DI BRUNO LONGHI

Champions League, il Milan disegna calcio sui resti del Cholismo

Impresa dei rossoneri con l'Atletico. Inter a "tattica ibrida", Atalanta ancora in corsa. Juve, l'Europa richiede un altro gioco

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© Getty Images

L’impresa è quella del Milan che al Wanda Metropolitano ha trovato il suo Messias, ma la notizia vera è che il calcio italiano costretto ai supplementari di marzo per accedere ai Mondiali sopravvive in Champions a pieno titolo, con tutte le sue rappresentanti ancora in corsa verso il futuro. La squadra di Pioli ha vinto sul campo dell’Atletico in maniera molto più netta di quanto non dica il risultato. Ha giocato a calcio, divenendo padrona della partita col passare dei minuti, mentre ciò che è rimasto del “Cholismo”, tanti calci e poco calcio, è stato giustamente messo alle corde dalle idee, dalla manovra, dalla costante ricerca del gol, dalla tecnica dei rossoneri. Il Milan ha avuto il premio meritato in virtù della stessa superiorità che aveva evidenziato nei confronti dei “colchoneros” nel primo tempo della gara di Milano. Ora resta da vedere ciò che potrà accadere all’ultima giornata. Ma l’essere ancora in corsa, il tenere in vita la speranza dell’impresa, è la cosa più importante e gratificante per una squadra costretta a gareggiare in un girone al limite dell’impossibile.

L’Inter il premio della qualificazione s’è l’è guadagnato meritatamente con 90 minuti d’anticipo battendo lo Shakhtar in maniera addirittura più netta di quanto non dica il 2-0 finale, firmato da una doppietta di Dzeko ispirata da un incontenibile Perisic. I nerazzurri ritrovano gli ottavi dopo 10 anni per aver gestito la gara contro i brasileiros di De Zerbi soffrendone il palleggio ma rendendoli innocui attraverso una tattica ibrida, a metà via tra i concetti di Inzaghi e quelli di Conte: ripartenze a tutto palleggio che hanno prodotto una mezza dozzina di palle gol.

Bene le milanesi, quasi bene l’Atalanta il cui cammino è condizionato da ciò che riuscirà a fare contro l’ostico Villarreal, campione uscente dell’Europa League. L’essere ancora in corsa è l’ennesima conquista della squadra di Gasperini, costretta all’appendice degli ultimi decisivi 90 minuti dalle tante rimonte patite e dai troppi gol subiti in questa sua terza avventura in Champions: 10 in 5 gare non sono numeri da Dea.

Della Juventus è già stato detto tutto il male possibile. I 4 gol di Stamford Bridge rappresentano una macchia e un inedito in Champions per la società più titolata d’Italia (lo 0-7 di Vienna del 1958 risaliva alla Coppa dei Campioni). Una punizione, ma anche la conferma che l’Europa richiede il gioco che guarda in avanti. Che non bada a coprirsi le spalle nella speranza che poi qualcosa possa accadere nell’area di rigore avversaria come avvenuto all’andata a Torino. Ci vuole tecnica, aggressività, coraggio. E non arrivare sempre secondi sulla palla. Ma la Juve ha comunque un’attenuante che non può essere ignorata: quella d’aver affrontato una squadra, il Chelsea, il cui calcio è nettamente al di sopra degli standard normalmente richiesti dalla Champions.

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