IL RITRATTO

Addio a Ezio Vendrame, talento controcorrente che preferiva la poesia ai gol 

Aveva 72 anni, ha avuto la sua grande occasione con il Napoli ma si è dedicato più alla scrittura e alla musica che al calcio giocato

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Se n'è andato a 72 anni, nel buen retiro che aveva scelto da anni in provincia di Treviso. Se n'è andato in silenzio Ezio Vendrame, dopo una lunga lotta contro una brutta malattia. Ai giovani questo nome non dice niente, ma chi è stato ragazzo negli anni '70 almeno per una volta ha sognato di imitarlo nel modo di giocare, ma soprattutto in quell'inimitabile gusto per l'anticonformismo che l'ha accompagnato sempre. 

I libri che ha scritto sono più dei trofei che ha sollevato. Ma questa affermazione non deve trarre in inganno. Ezio Vendrame è stato un giocatore con delle qualità tecniche straordinarie. Semplicemente, non ce la faceva a stare negli schemi. Non solo quelli del calcio, soprattutto quelli della vita. Un suo compagno di squadra un giorno ha raccontato: "Ezio in ritiro non riusciva a stare. Aveva voglia di evadere, di scappare. Un giorno uscì dalla stanza ed entrò in ascensore con un pallone. Era nudo. Sempre nudo si sedette sul pallone dopo aver premuto tutti i tasti dei piani. Chi aspettava l'ascensore si vedeva di fronte questo ragazzotto nudo seduto sul pallone, potete immaginare con che reazione". Un anticonformismo che poteva sembrare fine a sè stesso e che invece era la cartina al tornasole di una creatività inesauribile e sempre fuori dalle righe, che si esprimeva spesso anche sul campo, come quel giorno in cui con addosso la maglia del Padova si rese conto che la partita contro la Cremonese era destinata per forza a finire 0-0. Prese il pallone e dribblò tutti i compagni di squadra puntando verso la propria porta, evitò anche il portiere e poi arrivato sulla riga non fece autogol. Fermò il pallone, si girò e ripartì verso la porta avversaria. Era il suo modo di dire "Io non ci sto", di esprimere la sua ribellione verso un calcio che gli piaceva da pazzi come gioco ma forse gli faceva davvero schifo come business. 

Lo hanno paragonato a George Best, ovviamente con le dovute proporzioni in tema di obiettivi raggiunti. Ma rispetto al fuoriclasse irlandese, Vendrame è stato di un'altra categoria sotto il profilo della cultura. Una delle sue frasi-chiave è: "Questa vita non mi assomiglia, voglio vivere in un quadro di Chagall". Ma sulle sue origini è sempre stato ancora più incisivo: "Io sono di tipo randagio. Di quelli che si uccidono da soli". Friulano di Casarsa della Delizia, a 6 anni entrò in orfanotrofio, esperienza tremenda e profondamente segnante, spezzata solo 7 anni dopo quando venne preso nelle giovanili dell'Udinese., A 20 anni venne ceduto alla Spal, ma entrò subito in conflitto con il presidente Paolo Mazza: non esordì nemmeno, iniziò invece a girare per le serie minori con Torres, Siena e Rovereto. Nel 1971 l'esordio in serie A con la maglia del Lanerossi Vicenza, tre anni di pazzie, dribbling e giocate di alto livello. Un solo gol, ma tanto spettacolo. Nel novembre del 1974 dopo un allenamento con il Vicenza gli arrivò una telefonata dalla sede del club: "Fai la valigia e vai a Milano, devi firmare per l'Inter". L'occasione della vita, la possibilità di giocare a San Siro. Arrivato a Milano e appena appoggiata la valigia, nella stanza d'albergo lo raggiunse una seconda telefonata: "E' cambiato tutto. Vai al Napoli. Ti vuole a tutti i costi l'allenatore Luis Vinicio". 

Era un Napoli fortissimo quello che pensava di rafforzarsi con le giocate di Vendrame. Un Napoli che giocava all'olandese e puntava sul movimento di tutti. Ma anche in questo modo il talento friulano non si sentiva a proprio agio. Soprattutto non si sentiva a proprio agio quando arrivavano le feste di Natale, ricordando l'immensa tristezza dei tempi dell'orfanotrofio. Così quando Vinicio invitò tutta la squadra per Capodanno nella sua casa del Vomero, Vendrame fu l'unico a non andarci. L'allenatore brasiliano la prese malissimo e per il capellone che arrivava da lontano ci fu spazio solo in panchina. Un giorno Ezio decise di affrontare di petto il suo allenatore e gli disse: "Se mi mandi in tribuna. godo". Vinicio la prese come un invito a nozze ma quella frase è poi diventata il titolo di un libro autobiografico che Vendrame ha pubblicato autoproducendolo e autofinanziandosi. Il primo di una lunga serie di volumi quasi tutti pubblicati da piccole case editrici. 

Alla fine di quella stagione con il Napoli il tabellino recita "Tre presenze e zero gol". Da lì in poi per il ragazzo friulano ci fu solo calcio minore, prima il Padova in serie C, poi Audace San Michele Extra, Pordenone e Junior Casarsa. Ma a Napoli, oltre a molte belle ragazze che si innamorarono di lui, conobbe anche il ristoratore Marcello Micci, appassionato di calcio e di poesia, che a sua volta gli presentò il cantautore livornese Piero Ciampi. In breve tempo, Ciampi divenne grande amico di Vendrame e ne stimolò la passione per la poesia e la musica. Ciampi morì nel 1980 quando Vendrame stava ancora giocando, sia pure a livelli molto bassi. Colpo terribile per Ezio, che però non ha mani dimenticato l'amico portando avanti i suoi insegnamenti in tema di cultura e poesia. Dopo la carriera da calciatore, di Vendrame restano poche tracce, come allenatore nei settori giovanili della sua zona e come improvvisato opinionista televisivo con risultati modesti. Leggere il suo palmares può essere un esercizio sterile: ha vinto un campionato di serie D con il Pordenone. Punto. Leggere qualche suo libro invece è un tempo investito meglio: il talento con la penna in mano era simile a quello che esprimeva con un pallone tra i piedi. Magari con una maglia e un paio di pantaloncini addosso. 

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