La diciassettesima edizione della classica biellese è stata l'occasione per un test materiali all'insegna di performance, comfort e protezione
di Stefano Gatti© Racephoto by Weclick
Prendi il trailrunning e spoglialo di tutto quanto fa spettacolo ma poi invece... non sempre: sovrastrutture e decorazioni, orpelli e contorno (ma non contesto). Quello che resta è la corsa in natura nuda e cruda, la sua essenzialità. È quello che abbiamo avvertito subito prima, durante e dopo (anche alcuni giorni dopo) la nostra seconda esperienza consecutiva sui sentieri del Monte Casto di Andorno Micca: Valle Cervo e Val Sessera, alle spalle della città di Biella. Sì perché al “Casto” si respira (affannosamente, sulle rampe più lunghe) lo spirito trail nella sua essenza più profonda e viscerale. La sua storia, certo, ma soprattutto (a nostro parere) la sua filosofia. Una prova che - quando ti guardi intorno, mentre cerchi parcheggio, ti cambi, ti prepari - può di primo acchito ricordare alla lontana le atmosfere soft di una gara domenicale non competitiva. Nulla di più sbagliato! È tutto un depistaggio, è la calma virtuosa che precede la tempesta perfetta. Basta che “chippi” nella gabbia di partenza e tutto cambia: la scimmia pesa sulle spalle, la gola inizia a seccarsi prima del tempo, salivazione azzerata ma poi soprattutto il piacere di stare lì, aspettando la liberazione del via. Poi si scatta in avanti: a passettini circospetti, se sei nel folto del plotone, per non inciampare subito. Subentra la foga (inevitabile, checché ne dicano quelli che la sanno lunga) di guadagnare qualche posizione in vista del classico e temutissimo imbuto del primo sentierino alla fine dell'inevitabile prologo su asfalto…
© S. Gatti
Il passaggio dall’ora legale a quella solare giusto la notte prima… degli esami (e dell’esame di piemontese) è un bonus, nessun dubbio su questo. Colazione abbondante e solitaria nell’accogliente quiete dell’Hotel Agata di Biella, strategicamente dalla parte giusta della città prealpina per imboccare in pochi minuti la Valle Cervo e rapidamente raggiungere il campo-base del centro sportivo di Andorno Micca. Vado subito alla ricerca di Mau Scilla, vero e proprio frontman dello staff di TMC. Trovarlo non è difficile: Mau è davvero dappertutto! Prendo subito accordi con lui sulla copertura della prova su sportmediaset.it, perché al mio arrivo al traguardo dovrò rimettermi rapidamente in macchina verso Milano e un tranquillo turno serale in redazione per il Gran Premio del Messico di Formula Uno, che mi vedrà rimettere piede nel Centro di Produzione TV di Cologno Monzese ventidue ore dopo averlo lasciato e infilarmi a letto un tot di ore più tardi: verso le tre del mattino. È anche per questo che devo rinunciare a schierarmi al via della prova clou da 44 chilometri: ci starei dentro solo se fossi Francesco Nicola o Matteo Anselmi, primo e secondo classificato della “lunga”. Il caso non si pone, quindi rimando a data da destinarsi la missione “44 Gatti” (intanto però questo titolo me lo segno!)
© Racephoto by Weclick
Tre chilometri di bagarre sull’asfalto delle vie cittadine di Andorno, poi mettiamo piede sui sentieri. Il clima è uggioso ma solo nel finale avrò a che fare con una finissima e innocua pioggerella. Si va di tre in tre, almeno per adesso: tanti sono infatti i chilometri di salita che portano al passaggio al GPM del Monte Casto che - con i suoi 1138 metri - dà il nome alla prova. Qui si separano le strade (strade si fa per dire) di noi quattrocento e passa impegnati sulla prova d’ingresso dai trecento (non tutti giovani, forse non tutti forti ma di sicuro tutti coraggiosi) che affrontano la distanza più che doppia. Il nostro menu prevede un doppio anello (una sorta di ottovolante), loro ne hanno in programma quattro: l’anno prossimo voglio provarci pure io!
Prima del via, con il suo stile asciutto ed efficace, Mau ci ha chiesto di dedicare un pensiero a Jean Pellissier, scomparso solo un giorno prima. Lo fa alla moda del Trail del Casto, che d’altra parte è la sua creatura: senza fronzoli, senza pietismi, con un tono che non è di circostanza ma esprime ammirazione e stima per il campione valdostano. Lo dico chiaramente: mi sono dimenticato di ricordare Jean in gara. Provo a rimediare qui e intanto spero che altri lo abbiano fatto e che tutti insieme lo abbiamo ricordato senza pensarci: con i passi, con il fiatone in salita, con una volatona in discesa, con le nostre piccole grandi sfide e - perché no - con una birra in mano a missione compiuta. Varrà lo stesso? Io penso di sì!
© Racephoto by Weclick
Dal bosco alla foresta, la "cifra" della giornata guadagna spessore e consistenza. Tra un sospirone e l'altro, c'è tempo per qualche visione magica. Come quando, sollevando lo sguardo, metto a fuoco là sopra l'uscita allo scoperto di una radura: la nebbia impigliata tra i rami, le ombre di chi mi precede. La citazione mi viene spontanea: sembra la Foresta Amara di "Season Of The Witch/L'ultimo dei Templari", film del 2011 diretto da Dominic Sena. Con Nicholas Cage, Ron Pearlman e Claire Foy.
Davanti abbiamo adesso otto chilometri tutti in discesa: facciamo dietrofront dalle parti di Pratetto, dove invece i colleghi della “lunga” (che sono partiti due ore prima di noi) tirano dritto verso il… terzo e poi il quarto anello di gara: quelli sicuramente ancora più spettacolari. Vorrei e forse potrei spingere di più, le mie affidabilissime Cascadia 17 by Brooks (al secondo impegno competitivo dopo Livigno Skymarathon) me lo permetterebbero. Tra l’altro un anno fa qui avevo corso con le… Cascadia 16 la mia prima gara dopo mesi di stop per infortunio, fisioterapia e riabilitazione rientro-corsa. Mi limito però a dare tutto (quello che ho) nei tratti di mulattiera. Rimango invece sulla difensiva lungo le sezioni a base di sentierino singletrack che, per quanto perfettamente in ordine, non mi lasciano mai del tutto sereno: soprattutto con questo tempo e in discesa. Detto fatto: la prima (e per fortuna unica) “scavigliata” mi coglie di sorpresa nonostante tutta l’accortezza che ci sto mettendo. Vabbeh, riesco a bloccare e invertire la torsione prima che il “giro di chiglia” sia completo, evitando di fare danni pesanti e impattanti. Tolgo una marcia e la rimetto solo qualche minuto più in là, ritrovata calma e soprattutto fiducia.
Il Trail del Monte Casto mi offre tra l’altro l’occasione di svolgere un running test con l’abbigliamento della linea Effektor di X-Bionic. Non sono l’unico a indossarla e me ne accorgo già prima del via al villaggio-gara. Maglia tecnica indossata sotto la divisa della Sportiva Lanzada, pantaloncini e calzini fanno il loro figurone addosso e mi regalano un senso di comodità e tepore fin dal breve riscaldamento. Faranno fino in fondo il loro dovere in gara: fino in fondo ai venti chilometri. Per me in questi casi la controprova è sempre la stessa: se al primo contatto non mi accorgo nemmeno di indossare qualcosa di diverso dal solito, beh il primo test (quello comodità) è di fatto superato. Se poi all’approdo sul traguardo e subito dopo (soprattutto al termine di una gara su terreno e ambiente umido) non avverto l’urgenza di cambiarmi subito, beh sono già due indizi che fanno una prova: anzi, un test!
© S. Gatti
Meglio però andare oltre le sensazioni personali e quelle del momento. La tecnologia della linea Effektor 4D di X-Bionic è pensata per supportare l’atleta verso il raggiungimento della massima prestazione. Grazie alla particolare tessitura che unisce elementi con funzioni di compressione e di termoregolazione (ThermoSyphon e Partialkompression), i capi della linea permettono di ottenere un significativo risparmio energetico attraverso la diminuzione della produzione di acido lattico e la riduzione di dei battiti cardiaci. Dati che emergono da una attività di ricerca dell’istituto CERISM dell'Università di Verona. La maglia da corsa è caratterizzata dal sistema brevettato 3D Bionic Sphere con struttura ThermoSyphon che supporta la termoregolazione naturale e la gestione del sudore. La complessa struttura 3D sulla schiena e sul petto è caratterizzata da canali d'aria interni ed esterni che aiutano a mantenere il corpo asciutto. In corrispondenza delle parti del corpo maggiormente sensibili alla sudorazione, la maglia Effektor 4D presenta delle vere e proprie “trappole per il sudore” (Sweat Traps®). Da parte loro, le coste sottili degli shorts Effektor 4D diminuiscono l’affaticamento muscolare e favoriscono la circolazione del sangue. Anche in questo caso i fori Sweat Traps® gestiscono al meglio il sudore, mentre la speciale superficie ad azione rinfrescante sull’interno coscia previene le irritazioni da sfregamento. Quanto alle calze X-SOCKS MARATHON ENERGY (che al Trail del Monte Casto abbiamo ovviamente preferito alle versioni RUN PERFORMANCE e RUN FAST), il piede è preparato al meglio per affrontare le sollecitazioni di una maratona (nel nostro caso di una gara di trailrunning). In combinazione con la tecnologia Air Guide e con il sistema Traverse AirFlow Channel, l'Air-Conditioning Channel 4.0 porta aria fresca alla pianta del piede, mentre la protezione Lambertz Nicholson del tendine di Achille Protektor 4.0 - con le sue strutture dalla forma ottimizzata - scherma efficacemente da pressioni, sfregamenti e colpi.
© Racephoto by Weclick
Chilometro dodici di venti: chiudiamo dalle parti di Cascina Bosa l’anello alto della nostra prova. Siamo sì e no a un paio di chilometri in linea d’aria dal villaggio-gara (e infatti si sentono musica e voce dello speaker) ma so già - dall’esperienza di dodici mesi fa - che è solo un illusorio “canto di sirene”. Davanti abbiamo la seconda e ultima salita di giornata: quella del Quadretto. Molto più breve e contenuta della prima ma (arrivando nel finale) tutt’altro che da prendere sottogamba. La mia peraltro (nel senso della gamba) non è poi male, compatibilmente con possibilità e aspettative. Mi porterà al traguardo appena oltre la boa di metà classifica, lasciandomi completamente soddisfatto: sia rispetto alle modalità della mia trasferta lampo biellese, sia ripensando a qualche performance da retrovie della scorsa estate. D’altra parte - proposito di stagioni - le primavere alle spalle sono cinquantanove e mezzo!
© Racephoto by Weclick
Smarcati i 748 metri di quota dell’ultima asperità di giornata (come direbbero i ciclodotati del Giro d’Italia), ci tuffiamo in discesa verso il “gomito” della Colma d’Andorno e mettiamo nel mirino la volata finale. Due chilometri e mezzo al traguardo: posizioni acquisite (anzi no, qualcuno ancora si danna l’anima, beato lui) e ingresso tra le vie di Andorno. Svolte secche a destra e sinistra, la classica doppia rampa di gradini tra due alti muretti. Via Galliari in leggera salita, svolta secca a sinistra sotto una volta e giù lungo Via Verona. Tanta gente ad applaudire anche noi “midfielders” nella svolta - a destra stavolta - di Via Levera e di nuovo a destra per il passaggio sotto l’arco di partenza e arrivo “griffato” SCARPA. Stampata in volto la solita espressione-zombie che mi tolgo però di dosso nel giro di due minuti, con un bicchierone di Menabrea in mano: svuotato subito prima di brandire il vassoio del pasta party. Peccato che mi debba dissetare e sfamare alla velocità di… un ristoro in gara. Invece di prendermela calma e di fermarmi per un terzo tempo come si deve. Ma questa è tutta un’altra storia. Sarà magari per l’anno prossimo e d’altra parte finché va così (leggi: di lusso) non ho né il motivo né il diritto di lamentarmi.
© S. Gatti