Il Direttore di Gara australiano troppo spesso al centro degli episodi controversi che hanno pesato sull'esito della sfida per il titolo.
di Stefano Gatti
È stato ripetutamente e senza troppa fantasia definito un Mondiale appassionante come un film da primato al box office: un thriller per la suspence che lo ha caratterizzato ma anche un kolossal hollywoodiano per budget o meglio posta in palio. Un Mondiale da Oscar, ma non per la regia: quella di Michael Masi è stata lacunosa, imperfetta, a tratti per così dire... mercantile. Solo una questione di stile? Il Direttore di Gara australiano - è opinione diffusa - in diverse occasioni non è stato all'altezza del suo compito.
Nativo di Sydney, lontane origini italiane, il 42enne Masi ha iniziato la sua carriera nel motorsport in patria, prima nel popolarissimo campionato turismo delle Supercars, poi nella tappa australiana del Mondiale Rally WRC. Nel 2018 la promozione a vicedirettore di gara della Formula 2 e della Formula 3 e poi anche della Formula Uno, come vice dello storico Direttore di Gara Charlie Whiting, del quale Masi prende il posto quando quest'ultimo muore improvvisamente il giovedì che precede l'inizio del Mondiale del 2019 a Melbourne, fin qui la più recente edizione di quella gara, cancellata nel 2020 a causa della pandemia e poi anche quest'anno, sempre a causa dell'emergenza sanitaria e delle particolari restrizioni tuttora vigenti nel Paese. Il debutto di Masi avviene insomma "in casa" e va detto che - fino a tutto il 2020 - la sua gestione non solleva particolari polemiche e discussioni di sorta.
I nodi vengono tutti al pettine quest'anno, alle prese con le pressioni di una sfida ben diversa dalle cavalcate più o meno solitarie di Lewis Hamilton nelle due ultime stagioni. La gestione dell'emergenza meteo a Spa-Francorchamps, le controverse decisioni prese sul "nearmiss" tra Hamilton e Verstappen a San Paolo del Brasile, la "trattativa" in collegamento radio (mondiale...) a Jeddah, nonché gli episodi poi "protestati" dalla Mercedes nell'immediato dopogara di Yas Marina: sono i passaggi critici (ma non gli unici) di una gestione debole e ondivaga, che ha rischiato (e rischia in prospettiva) di togliere credibilità non solo e non tanto a FIA e F1 ma alla genuinità stessa della competizione. Intendiamoci, per capitali ed interessi in palio la massima espressione dello sport automobilistico non è mai stata esente da condizionamenti di vario genere, ma non è mai scesa ai livelli della stagione appena conclusa.
Un Mondiale appassionante come un thriller, con un colpevole (o meglio: un campione) svelato solo all'ultimo giro dell'ultimo Gran Premio. Un Mondiale come mai nessun altro prima, però in un certo senso artatamente "indirizzato" verso un finale che (affrontato dai due protagonisti in condizioni tecniche ben diverse!) ha svilito la straordinaria rimonta di Hamilton (tre vittorie di fila quando tutto sembrava perduto) e magari appannato l'altrettanto straordinaria impresa del neocampione Verstappen. Siamo nel campo delle opinioni, ovviamente, ma ce n'è abbastanza per qualche riflessione "natalizia" nelle stanze dei bottoni sull'operato di Michael Masi... nella cabina di regia di uno sport business di profilo troppo elevato per non poter contare su un Direttore di Gara nel suo campo allo stesso livello dei campioni il cui operato (alla testa del collegio dei Commissari di Gara, ogni volta diverso ed anche questa è materia controversa) è chiamato a giudicare ogni quindici giorni, anche meno.