Mentre Bruxelles definisce norme e obiettivi ambiziosi, la realtà è già più avanti: dai taxi autonomi di San Francisco alle auto robotizzate negli stabilimenti BMW, la tecnologia è concreta ma ancora confinata in contesti controllati
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L’Europa guarda con ambizione alla guida autonoma, ma il percorso tra regolamenti e sperimentazioni concrete è più complesso di quanto appaia. Le normative recenti consentono già a certi veicoli di operare in modalità “hands-off” sulle autostrade europee, ovvero con funzioni di guida autonoma parziali che tollerano che le mani lascino il volante in determinate condizioni.
Tante iniziative
In Italia, numerosi sindaci — da Milano a Torino, Genova e altri centri — hanno manifestato disponibilità a trasformare aree urbane in laboratori sperimentali, anticipando l’arrivo di veicoli con guida autonoma in alcune strade cittadine. Anche le università italiane e centri di ricerca sono coinvolti: progetti pilota di navette autonome destinati a persone con mobilità ridotta stanno avanzando con il coinvolgimento del Politecnico di Milano (riconosciuto per i suoi progetti di guida autonoma a livello internazionale) e altri istituti, dimostrando che la spinta verso nuove forme di mobilità è già partita.
Già realtà
Se le ambizioni europee puntano a estendere la guida autonoma in tratti reali nei prossimi anni, la realtà attuale mostra che esistono applicazioni già attive, sebbene entro contesti controllati. A San Francisco, per esempio, è operativo un servizio di robotaxi offerto al pubblico da Waymo, capace di operare senza conducente in zone specifiche della città. Nel settore industriale, all’interno degli stabilimenti BMW in Germania, alcuni veicoli escono autonomamente dalle linee di produzione percorrendo percorsi definiti all’interno della fabbrica, senza alcuna guida a bordo.
Infrastruttura connessa
Queste applicazioni reali rivelano che la tecnologia non è più fantascienza: è già integrata in contesti limitati e ben controllati. ll regolamento UNECE R-157 consente, in determinate condizioni, l’uso di sistemi di guida autonomi di livello 3, ossia in cui il veicolo può assumere temporaneamente il controllo, ma il conducente resta comunque presente e responsabile. La sperimentazione riguarda non solo auto stradali, ma anche navette, veicoli urbani, robotaxi e network intelligenti in ambito urbano e interurbano. In Francia, Germania, Spagna e Italia sono attivi protocolli di prova, tratti di autostrada dotati di infrastrutture digitali (sensori, V2I, 5G)
Non così affidabile
Se da un lato la mobilità autonoma offre promesse importanti in termini di riduzione degli incidenti e miglioramento della fluidità del traffico, dall’altro spettano rischi non secondari. Studi comparativi negli Stati Uniti, che hanno messo a confronto migliaia di veicoli semi-autonomi con quelli guidati da esseri umani, evidenziano che i sistemi automatici registrano meno collisioni in situazioni standard (mantenimento corsia, traffico normale), ma risultano più vulnerabili in condizioni come scarsa illuminazione o manovre complesse, ad esempio svolte o incroci. I veicoli autonomi sono infatti risultati 5 volte più a rischio in condizioni di alba/tramonto e quasi il doppio quando devono effettuare svolte rispetto a veicoli convenzionali.
Protezione dei dati
Ma il tema più sottile riguarda i dati: ogni veicolo a guida autonoma è un nodo nell’Internet of Things (IoT), dotato di sensori, telecamere, viste esterne, registrazione di immagini, traiettorie, condizioni della strada, caratteristiche del guidatore. Il flusso di questi dati solleva questioni di privacy e sicurezza informatica. Molti dispositivi di veicoli connessi non offrono adeguate informazioni su come i dati vengono raccolti, conservati o utilizzati, e che una parte significativa dei sistemi non garantisce reti protette o processi di anonimizzazione degli utenti. In terminologia tecnica: la circolazione dei dati rappresenta un rischio tanto insidioso quanto quello della circolazione fisica del veicolo stesso.
Un tema di responsabilità
Altra questione decisiva è quella della responsabilità. Se un veicolo in modalità autonoma causa un incidente, chi risponde: il conducente, il produttore, chi ha sviluppato il software o il gestore dell’infrastruttura stradale? Sebbene il quadro europeo mantenga la responsabilità del guidatore in prima istanza, rimane un’area grigia che rischia di rallentare investimenti e applicazioni. Da un lato, l’Unione Europea punta a regolamentare e autorizzare presenza crescente di veicoli autonomi di livello 4 o 5 su strade convenzionali entro pochi anni. Dall’altro, le applicazioni reali rimangono per ora circoscritte: i robotaxi operano solo in zone urbane selezionate con supervisione, e i veicoli nelle fabbriche percorrono distanze limitate su tracciati predeterminati.
Futuro incerto
Per l’automobilista, il cambiamento sarà profondo: in pochi anni l’auto potrà gestire molte situazioni autonomamente, ma non in ogni condizione. Occorrerà convivenza tra uomo e macchina, consapevolezza dei limiti tecnologici, e regolamenti che proteggano chi guida e i dati che l’auto raccoglie. Il viaggio verso l’auto autonoma è già iniziato, ma richiederà ancora tempo, innovazione e pazienza per poter avere un impatto reale sulle abitudini di milioni di persone. Consapevoli che, una guida completamente autonoma, è un orizzonte ancora poco probabile.