IL PROFILO

Okafor, il ragazzo che cresceva troppo e poi prese il posto di Haaland 

Papà nigeriano e mamma svizzera, ha scelto di vestire la maglia rossocrociata e ha rischiato di smettere per un'infiammazione alle ossa

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Bisogna cercare “noah.arinze” per trovare il suo profilo su Instagram. Solo dopo si scopre che dietro quel nickname c’è Okafor, il nuovo attaccante del Milan, che all’anagrafe si chiama Noah Arinzechuckwu Okafor. Nemmeno lui sa cosa significhi il suo secondo nome, lo usa semplicemente perché lo trova divertente. È svizzero di passaporto (come mamma Nicole), e nigeriano di origine (papà Christian è di etnia Igbo).

C’erano già una bambina e un bambino a riempire le giornate di papà Christian e mamma Nicole quando è venuto al mondo Noah, il 24 marzo del 2000. Un bell’impegno. Eppure non si sono fermati lì, perché poi sono arrivati altri due bambini, Isaiah e Elijah. Ma quasi subito c’era qualcosa di diverso negli occhi e nel modo di muoversi di Noah, che a otto mesi già camminava con disinvoltura ed era molto attratto dal pallone. Lui ne sapeva qualcosa. Fuggito dalla Nigeria adolescente, si trasferì prima in Austria (senza trovare lavoro), poi in Germania, dove riuscì a strappare un ingaggio come calciatore in terza divisione, vestendo la maglia del SSV Ulm. Carriera breve per la verità, poca fortuna o forse insufficiente talento. Mollò alla svelta, trovandosi un impiego come meccanico in un’officina.

La famiglia Okafor – come molte altre – si formò quasi per caso. Christian abitava a Monaco di Baviera e un giorno decise di prendersi una breve vacanza a Basilea. Fu proprio lì che conobbe Nicole. Quel giorno la ragazza non doveva nemmeno trovarsi in città, invece un’amica le chiese di accompagnarla e quella fu l’occasione per far nascere un grande amore. I coniugi scelsero Il paese di Aristdorf per stabilire la loro residenza, ma Noah è nato (dopo Sonia) a Binningen, quasi al confine con la Germania. Christian Okafor è sempre stato al fianco del piccolo Noah, incoraggiandolo a inseguire il sogno di diventare calciatore professionista. Lo stesso ha fatto con i due figli più piccoli. Certo, avrebbe preferito anche vederlo almeno diplomato alle scuole superiori, ma Noah proprio di studiare non aveva voglia. Finite le medie, ha anche svolto un periodo di apprendistato in un'azienda di articoli sportivi, la Ochsner Sport.

Intanto però c’era il calcio. Passione rovente, fin dai primi anni di vita. Andava quasi tutti i giorni al campo di Aristdorf, ma non aveva il coraggio di proporsi per un provino. Guardava gli altri ragazzini giocare, mai troppo convinto. Quando aveva otto anni, un giorno si avvicinò un po’ di più al campo e chiese di unirsi ai ragazzi che giocavano. Non si era reso conto che si trattava di un allenamento vero e proprio. L’allenatore della squadra, Markus Schweizer, gli fece cenno di andarsene: “Per allenarti devi avere le scarpe da calcio e i parastinchi, così come sei non posso farti entrare”. Sembrava una sciocchezza, invece era un brutto colpo per il piccolo Noah, che si avviò a passo spedito verso casa e chiese insistentemente al papà di comprargli l’attrezzatura. Sembra una storia inventata, ma in pochi minuti il padre si fece convincere, caricò il piccolo in auto e lo portò a Liestal in un negozio di articoli sportivi. Nel giro di mezz’ora Noah era pronto per ripresentarsi al campo di allenamento vestito da calciatore, facendo strabuzzare gli occhi all’esperto allenatore, all’epoca cinquantesettenne.

Ne aveva visti di ragazzini Schweizer, ma la tecnica e il tiro di Noah lo fulminarono subito. A fine allenamento aprì un cassetto e consegnò al ragazzino un formulario, chiedendogli di compilarlo entro il giorno seguente. E appena ebbe ricevuto il documento, telefono al padre: “Signor Okafor, credo proprio che la squadra di Aristdorf sia troppo piccola per suo figlio, Noah è già pronto per andare al Basilea”. Schweizer non stava nella pelle. Lo ingolosiva l’idea di avere scoperto un piccolo fenomeno. Telefonò al suo amico Marco Otero, all’epoca viceallenatore del Sion con un passato recente nei quadri tecnici del Basilea. Si fece dare i contatti giusti per organizzare un provino serio.

Nella primavera del 2009, il Basilea organizzò un’amichevole con il Concordia, un club associato, per vedere all’opera Noah Okafor che quel giorno fece – come quasi sempre – il fenomeno. Il Basilea lo prese, concedendogli di restare altri sei mesi all’Aristdorf. Papà Christian era entusiasta e si organizzò per accompagnare quasi ogni giorno il figlio agli allenamenti dell’accademia del Basilea. Ormai il calcio in casa Okafor era diventato l’argomento principale, tanto che anche gli altri due figli Isaiah ed Elijah cominciarono a giocare seriamente.

Pazienza se la scuola andava maluccio. Tutti gli allenatori concordavano sullo stesso giudizio: Noah avrebbe avuto un futuro nel calcio. A 15 anni, il Basilea chiese a Christian Okafor il permesso di inserire il figlio nell’accademia del club. Permesso accordato. Però la vita da solo, lontano da casa, era durissima. Mai presente al compleanno dei fratellini e dei genitori, mai un’attenzione da parte della mamma. Solo calcio. In quel periodo, la statura di Noah aumentò di dieci centimetri in poco tempo, una crescita che gli creò non pochi problemi, tra cui un’infiammazione ossea molto seria che lo costrinse a fermarsi per sei mesi e rischiava addirittura di compromettergli la carriera.

Papà Christian e mamma Nicole, religiosissimi, gli raccomandavano di pregare tutti i giorni. Il Basilea lo spronava a seguire tutti i consigli dei medici e gli mise a disposizione uno psicologo. Dopo sei mesi l’infiammazione era finalmente passata, ma i muscoli avevano bisogno di riadattarsi: altri tre mesi senza giocare. Totale nove mesi. Quando si ripresentò in campo disponibile per giocare, Noah era alto già 1,85. Nella stagione 2017-18 arrivò la promozione alla prima squadra del Basilea sotto la guida dell’allenatore Raphael Wicky, poi anche il primo contratto da professionista, firmato proprio nel 2018.

A questo punto era un giocatore fatto e finito. Nella stagione 2018-19 vinse la Coppa Svizzera e fece il suo debutto con la Nazionale svizzera, il 9 giugno del 2019 (a oggi ha totalizzato 14 presenze e 2 gol), Nazionale scelta dopo un breve consulto con il papà. Avrebbe potuto scegliere la Nigeria, ma con la Svizzera aveva fatto già tutte le Nazionali giovanili. All’inizio della stagione 2019-20 lo seguivano già il Manchester City e il Manchester United. Lo pressavano, ma papà Christian lo convinse a dire no. Nel gennaio del 2020 arrivò l’offerta del Red Bull Salisburgo che la famiglia Okafor ritenne perfetta per far crescere ulteriormente Noah.

Molti ricordi ottimi sono legati all’anno 2021. Prima di tutto il gol contro la Bulgaria che qualificò di fatto la Svizzera al Mondiale 2022. Poi il gol contro il Siviglia che proiettò il Salisburgo per gli ottavi di Champions. Nella stagione appena conclusa, ha totalizzato 21 presenze e 7 gol nella Bundesliga austriaca, 8 partite e 3 gol (di cui uno proprio contro il Milan) in Champions League. In campo, Noah Okafor può fare la prima o la seconda punta. Il Salisburgo l’ha preso come sostituto di Erling Haaland quando il norvegese è passato al Borussia Dortmund, ma poi l’ha impiegato anche come attaccante esterno. Ed è proprio su questa doppia possibilità che si basa il progetto del Milan. Sarà l’alternativa a Giroud ma non solo: potrà giocare anche a fianco del francese oppure al posto di Leao quando fosse necessaria. Un giocatore che mancava e che adesso Pioli ha a disposizione.

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