L'ANNIVERSARIO

Nazionale, il 13 novembre tre anni dopo: dal baratro alla rinascita

Dalla terribile serata di San Siro con la Svezia, e la mancata qualificazione a Russia '18, l'Italia ha saputo rialzarsi nel modo migliore

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13 novembre 2017. Una data funesta per il calcio italiano. Paragonabile ai momenti peggiori, come la Corea del Nord del 1966, quella del Sud del 2002 o la mancata qualificazione al mondiale del '58. Ecco, questo forse è l'esempio più calzante. La Nazionale non riesce a segnare alla Svezia e non si qualifica per Russia 2018. Tutta la colpa se la prende Ventura, additato al pubblico ludibrio (nella più classica delle sceneggiate made in Italy con l'allenatore capro espiatorio ideale).  

La federcalcio cambia ct e, dopo l'interregno Di Biagio, punta su Mancini. L'impresa non è delle più semplici: far resuscitare la Nazionale dalle ceneri di uno dei peggiori disastri sportivi di sempre. Il Mancio, insieme a uno staff di ottimo livello, capisce che la rivoluzione non può che partire da una forte identità di gioco. Ci aveva provato Arrigo Sacchi (che comunque è arrivato a qualche rigore dall'alzare la Coppa del mondo...), ma la sua memorabile frase "fare il selezionatore di una Nazionale è come essere un eunuco in un harem" (per sottolineare la beffa di chi ha una vasta scelta ma non riesce a mettere in pratica la sua concezione di calcio per il poco tempo a disposizione), rende bene l'idea.

Anche LippiPrandelli e Conte ci hanno provato e (Brasile '14 a parte, per quanto riguarda il secondo) ci sono anche riusciti. Creare un'identità tattica forte in una selezione nazionale si può. Anzi, si deve. Mancini l'ha fatto, seguendo le logiche di un campionato che propone queste cose ogni domenica. Costruzione dal basso, pressing (più o meno alto a seconda dei momenti e degli avversari), sistema di gioco che varia nelle due fasi e mezzeali ed esterni d'attacco che diventano trequartisti. Pochi movimenti codificati, tanta lettura e interpretazione delle situazioni da parte dei giocatori. Sembra facile ma non lo è. Il Mancio ci è arrivato seguendo la strada di due predecessori che hanno dovuto ripartire da zero, Bernardini (dopo Monaco '74) e lo stesso Sacchi (dopo la mancata qualificazione a Euro '92): tentare il rilancio provando un numero elevato di giocatori, con convocazioni allargatissime. Basti pensare ai 32 esordienti dell'era Mancini in soli due anni e mezzo.

Certo, manca ancora la prova del fuoco di un vero torneo internazionale (sperando che il Covid non sposti di nuovo l'Europeo), ma la partita con l'Estonia, considerata inutile dai più, non ha fatto altro che dimostrare che la strada è quella giusta, che l'idea di gioco è entrata così in profondità nel gruppo azzurro da vedere le seconde linee rispettare le stesse consegne dei titolari. Tre anni, insomma, non sono passati invano. 

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