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Mentre a Parigi si completa la spettacolare introduzione alla finale del Roland Garros, a poco più di 1000 km va in onda contemporaneamente l’ultimo triste atto di un dramma chiamato calcio italiano. Ultimo in ordine cronologico, perché con l’aria che tira ce ne saranno altri.
Dopo la figuraccia con la Norvegia, che si trascina la spaventosa possibilità di saltare il terzo Mondiale consecutivo, ci prepariamo ad affrontare la partita con la Moldavia con un CT esonerato. Se non è un record, poco ci manca. Senza entrare nel merito delle colpe di Spalletti, che sono sotto gli occhi di tutti, a scendere in campo a Reggio Emilia esonerato e sfiduciato non è solo lui, ma tutto il calcio italiano. Umiliato a livelli mai visti, se pensiamo che siamo stati in passato una nazione che accoglieva coi pomodori i reduci della finale del 1970 persa 4-1 col Brasile di Pelé. Sì, proprio gli eroi di Italia-Germania 4-3 nella partita precedente. Reazioni indecenti e riprovevoli, ma servono a spiegare ai più giovani come eravamo. Gente a cui non piaceva perdere. Nelle finali del Mondiale.
Allora il calcio era la punta di diamante del nostro sport, oggi è dietro a tennis, atletica, nuoto, volley, scherma, pallanuoto, vela, sci e qui mi fermo nell’elenco di Federazioni che hanno lavorato meglio con allenatori che hanno insegnato la tecnica e la mentalità prima della tattica ai loro campioni del futuro. Eravamo i più forti del mondo, oggi siamo un caso da studiare. Tapperemo questa falla con un altro allenatore, dopo avere avuto i migliori dai club ricordando l’ultima impresa napoletana di Spalletti. Ma sarà ancora il classico rattoppo a un vestito sempre più strappato e sbrindellato. Un vestito che ormai non riesce più a coprire le nostre vergogne.