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L'INTERVISTA

Rangnick punge ancora il Milan: "Ibra? Il rinnovo una contraddizione"

Il manager tedesco al Financial Times: "Può ancora essere decisivo per vincere le partite. Ma la domanda è: cos’è il Milan?

21 Set 2020 - 10:37

Ha spiegato talmente nei dettagli la sua filosofia che, in effetti, certe parole non dovrebbero nemmeno fare più effetto. Però il tempismo, va detto, almeno per quel che riguarda il Milan non è dei migliori. Prima la notizia del suo arrivo con Pioli in piena corsa per un posto in Europa League, poi le parole non esattamente concilianti mentre si lavorava al rinnovo di Ibra e, adesso, l'intervista al Financial Times a poche ore dal debutto dei rossoneri in campionato contro il Bologna. Ralf Rangnick, oggi, è una nota stonata. Perché non perde l'occasione per criticare il Milan e perché ha quel tanto di presunzione che lo fa essere certo di essere sempre solo lui sulla strada giusta.

Nel mirino del tecnico tedesco c'è ancora l'affaire Ibrahimovic. Perché è quanto di più distante dalla sua idea di club, ovviamente, ma anche perché, a sentir lui, Elliott sulla questione ha avuto un netto cambio di rotta: "Non si tratta di me o del fatto che non mi piaccia Ibrahimovic - dice -. Perché non dovrebbe? A 38 anni è ancora in ottima forma. Può ancora essere decisivo per vincere le partite. Ma la domanda è: quale strada vuoi percorrere? Cos’è il Milan? Per me, la firma di Ibrahimovic, all’epoca, era una contraddizione in sé, a causa della strategia che volevano seguire”.

E la strategia, manco a dirlo, era in fondo la sua: costruire una squadra composta da giovani promettenti e capaci di divenire un asset per la società. Comprare a poco, far crescere i calciatori, rivenderli producendo plusvalenze. Niente di criticabile, ma nemmeno per forza l'unica idea possibile di calcio. Fatto sta che Elliott ha poi scelto di proseguire con Stefano Pioli e la strada che si è deciso di percorrere è in effetti diversa da quella che si immaginava Rangnick. E che, semmai, nelle ultime settimane il suo nome è stato accostato alla nuova Roma di Friedkin: "Non si tratta del Paese. Riguarda la sfida - ha spiegato -. Mi sono sempre considerato un fornitore di servizi, per i miei giocatori, per i miei dipendenti, per migliorare, per renderli migliori. E poi, alla fine, hai una situazione vantaggiosa per tutti.”

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