Francesco Acerbi è uno dei difensori italiani più affidabili. Titolarissimo nella Lazio e rientrato nel giro della Nazionale, la sua carriera ha vissuto alti e bassi con picchi importanti, ma dopo aver sconfitto una brutta malattia Acerbi si è assestato a grandi livelli: "Paradossalmente il tumore mi ha salvato, mi ha dato qualcosa contro cui lottare" ha raccontato. Prima il suo periodo più buio dopo la morte del padre: "Bevevo di tutto".
Il 31enne milanese ne ha passate tante nella carriera da calciatore, ma negli ultimi anni ha trovato una sicurezza e una forza interiore che lo hanno reso uno dei difensori italiani più forti, dentro e fuori dal campo. Non è sempre stato così, la vita di Acerbi non è stata banale e di sfide ben più grosse di quelle in campo ne ha dovute affrontare abbastanza. Una vita calcistica e non divisa in tre parti, come ha raccontato nell'intervista concessa a Dario Cresto-Dina di Repubblica.
La prima, l'ascesa con le prestazioni in campo con la maglia di Reggina e Chievo, Acerbi nel 2012 si conquistò la grande occasione: la chiamata in un grande club, il Milan. L'apice e il fondo nella carriera nel giro di pochi mesi, come raccontato dallo stesso difensore: "Ho sempre avuto bisogno di un avversario per dare il massimo. Dopo la morte di papà sono precipitato e ho toccato il fondo. Ero al Milan, mi sono venuti a mancare gli stimoli, non sapevo più giocare. Mi sono messo a bere e, credetemi, bevevo di tutto. Può sembrare un paradosso, ma mi ha salvato il cancro".
Sì perché nell'estate 2013, l'inizio della sua seconda vita, i rossoneri lo hanno ceduto al Sassuolo e durante le visite mediche gli viene diagnosticato un tumore al testicolo sinistro con intervento chirurgico al San Raffaele di Milano, tornando in campo a settembre prima con lo stesso male che si è poi ripresentato a novembre in forma recidiva al testicolo destro: "Da allora ho smesso di avere paura. Avevo qualcosa contro cui lottare, un limite da superare".
Ora la terza fase della vita e della carriera dice Lazio e Nazionale: "La malattia mi ha migliorato come persona, sono diventato più maturo e per me è un motivo di orgoglio. Non ho più paura e vedo con più chiarezza il mio futuro. Giocherò fino a 38 anni e poi farò l'allenatore. Sono uno come tanti, ma so cosa vuol dire il privilegio ma anche finire col culo per terra".
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