L'ANALISI

L'aria da fine impero non fa bene alla Juve: derby da dimenticare e non solo per Dusan

I bianconeri hanno praticamente ottenuto l'accesso alla prossima Champions, ma gli ultimi due mesi e mezzo devono far riflettere la dirigenza

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La Juventus ha praticamente raggiunto il suo traguardo stagionale, complice anche il recentissimo cammino di chi sta dietro (vedi Bologna). Probabilmente si porterà a casa la Coppa Italia e ci sarà qualcuno che dirà che ha fatto un cammino straordinario o, perlomeno, superiore alle reali possibilità della rosa. Quel qualcuno sarà così autorevole da convincere molti tifosi bianconeri, quelli che già ora esaltano il loro allenatore gettando tutte le colpe su giocatori e dirigenza.

Questo, più o meno, lo scenario in casa Juve da quasi tre anni a questa parte. Pubblico diviso come nei talk show politici e opinionisti che cambiano la realtà per adattarla alle loro inscalfibili teorie. La verità dei fatti non esiste più, schiacciata e sommersa da punti di vista difesi, a volte, con discutibile violenza verbale. Chi ha un po' di memoria si ricorda che, fino a pochi mesi fa, la Juventus era la squadra favorita perché non doveva giocare le Coppe. Ora l’accesso al terzo posto è un miracolo legato alla capacità taumaturgica di un allenatore che ha saputo tenere in piedi una squadra non all'altezza.

Inutile aggiungere opinioni a quelle che sono radicate dentro coscienze che, quando sono in buonafede, hanno comunque tutto il diritto di ospitarle con convinzione. Provando a guardare i fatti, si scopre che il derby non è stato altro che lo specchio della stagione bianconera. Dopo quasi tre anni, mettersi a parlare di gioco o di manovra improvvisata, sarebbe veramente un esercizio sterile e inutile. Perché della qualità del gioco ai tifosi interessa meno di zero, senza considerare, però, che una squadra in cui un giocatore abbia sempre più soluzioni offensive diminuirebbe gli errori tecnici individuali. Vincere è l'unica cosa che conta, e poco importa che in tre anni la Juve si sia portata a casa (con tutta probabilità) una sola Coppa Italia. Già, perché ottenere la qualificazione Champions è un traguardo incredibile, anche se ti chiami Juventus e non, per dire, Frosinone o Empoli.

A questo è arrivata una delle società più prestigiose del mondo. Le colpe? Variano a seconda di chi scrive, pontifica, posta e discute. Ora è il turno di Vlahovic. Due gol sbagliati, di cui uno con l'alibi della deviazione di Milinkovic-Savic, ma anche un bottino di 15 centri in Serie A, nonostante non si possa proprio dire che sia stato messo in condizione di segnare tante volte nelle partite fin qui disputate. Diciamo che Haaland, nel City, ha qualche occasione in più. Il derby ha dato, più che altro, l'impressione che sia finita un'era, con una parte di tifosi a cui frulla in testa un'"era ora" e un'altra che piange lacrime amare nel vedere il proprio eroe lasciare quella panchina. Un titolo, forse, in tre anni. Sarri e Pirlo in una anno hanno vinto, rispettivamente, uno scudetto e una Coppa Italia e una Supercoppa italiana. E sono stati cacciati. Una rivoluzione, in casa Juve, perlomeno, c'è stata veramente: vincere non è più l'unica cosa che conta. 

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