L'INTERVISTA

Guarin: "Sono alcolizzato, ma sto guarendo. Temo la morte e il carcere"

L'ex Inter: "La dipendenza è iniziata quando ero un calciatore e ho perso tutto"

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Guarin: "Sono alcolizzato, ma sto guarendo. Temo la morte e il carcere" - foto 1
© Getty Images

In una lunga intervista alla rivista Semana, Fredy Guarin ha raccontato il suo "inferno". Un inferno fatto di alcol e di tanti momenti bui e scelte sbagliate. "Sono un alcolizzato e lo ammetto. Sono stato un tossicodipendente per tanti anni e ora sono in via di guarigione - ha spiegato l'ex centrocampista dell'Inter -. La mia decisione è stata quella di aggrapparmi all'alcol, ho commesso molti errori, ferito molte persone, fatto stare male i miei cari, la mia cerchia di amici e la mia famiglia. L'alcol è sempre stato il fattore scatenante di tutto". 

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"Quando ho lasciato il Millonarios è stato il punto più basso che ho toccato, perché in questi ultimi tre anni ho toccato il fondo della mia dipendenza - ha raccontato Guarin entrando nei dettagli -. Non lavoravo più, avevo perso la mia dignità, la fiducia delle persone care e la cosa più importante e preziosa che ho, ovvero i miei tre figli". "Ho perso molte cose a livello sentimentale e amoroso. È arrivato un punto in cui non potevo più continuare così - ha aggiunto -. Ho dovuto chiedere aiuto, lo avevo già fatto diverse volte, ma avevo sempre una ricaduta. Ho dovuto arrendermi e chiedere aiuto ad alcuni professionisti con cui sto lavorando e poter rimediare a tante cose che non erano state fatte bene". "Ho dovuto riacquistare la fiducia in me, quella dei miei figli e dei miei parenti - ha continuato -. Accettarmi e proiettarmi nel futuro era la cosa principale da fare".

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"Ora vivo giorno per giorno. Voglio davvero poter vivere una vita normale, calma e pianificata - ha spiegato ancora Guarin -. Oggi sono completamente in pace e desideroso di vivere la vita di una persona normale, una persona che si alza, si allena, lavora, torna a casa la sera e si riposa". "Quando mi sono ritirato dal calcio e soprattutto nel modo in cui mi sono ritirato, che non era appropriato, mi è rimasta la sensazione: cosa faccio adesso?", ha proseguito l'ex nerazzurro riavvolgendo il nastro dei ricordi. "Per 20 anni il mio obiettivo è stato dedicarmi al calcio perché era quello che sapevo fare - ha continuato -. Poi non mi ero preparato per altre cose. Quando ho smesso, sono rimasto impotente e ho preso decisioni sbagliate". 

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"Ho veramente paura di due cose: la morte e il carcere - ha proseguito Guarin -. Ho una frase tatuata, l'ho scritta io stesso: 'Ho paura della morte e del carcere e, senza saperlo, vivevo in un carcere condannato a morte'". "La verità è che in quel cammino oscuro che stavo facendo ero vicino alla morte perché non avevo rispetto, non avevo limiti, non avevo coraggio e mi lasciavo portare ogni giorno più in là in quel buco - ha aggiunto -. Ho bussato alle porte dell'inferno. So di cosa si tratta e non voglio mai tornare indietro nella mia vita". "Non è molto bella l'oscurità e l'inquietudine con cui convivevo. Non ho misurato i rischi quando ero ubriaco - ha continuato l'ex nerazzurro -. Sono stati momenti molto dolorosi. La prigione era ciò che stavo vivendo". 

"Amici nel mondo del calcio? So chi sono i miei amici, quelli che vogliono vedermi stare bene. Ci vuole tempo per capirlo - ha raccontato ancora Guarin -. So chi c'era nei miei momenti peggiori. Mi sono stati accanto Falcao, James, Juan Fernando Quintero, Ospina, Cuadrado, Zanetti, Córdoba e altri che erano lì saldi e bravi in ​​quei momenti bui. "Erano disponibili ad aiutarmi - ha concluso -. Altri, senza dire una parola, se ne sono andati. Non erano amici".

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