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L'INTERVISTA

Fabregas: "Ancora al Como? Devo capire dove vogliamo andare. Potevo andare a Milan, Napoli e Roma"

L'allenatore spagnolo ha parlato del suo futuro, dei colleghi e dei grandi maestri avuti in carriera

01 Mag 2025 - 10:42
 © Getty Images

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Cesc Fabregas ha parlato a Il Corriere dello Sport in una lunga intervista dove ha affrontato i tanti tempi di una vita di calcio ad alto livello. Lo cercano le squadre più importanti dopo la salvezza appena ottenuta: "Il futuro? Non lo so, niente è ancora deciso. Ho bisogno di una breve sosta a fine campionato, di un attimo di respiro prima di sedermi al tavolo con il Como... Mi ritengo molto fortunato perché qui la gestione del quotidiano è uguale tanto che si vinca quanto che si perda. Il confronto è costante. Pretendo molto, è vero, perché una cosa che Conte mi ha insegnato e ha ripetuto giorni fa è l’essenza del nostro lavoro. Il fondoschiena sempre a rischio è solo quello dell’allenatore, è una questione di aspettative interne ed esterne. Devo capire dove vogliamo andare. E in che modo. La priorità è il Como. È normale che qualcuno si sia fatto vivo. Ci sono squadre che stanno cercando l’allenatore o il giocatore. Chiamano e ci sta. È così, non dobbiamo dire bugie alla gente. Capita ovunque. Pensi che Simeone in tutti questi anni non l’abbia chiamato nessuno? Eppure è ancora all’Atletico. Esiste un timing per tutte le cose".

Da grande studioso di calcio è normale che si parli dei colleghi affrontati in Serie A e dei grandi maestri avuti in carriera: "Conte è un fenomeno, un fenomeno. Ho imparato tantissimo. Da Antonio, dalla sua metodologia e, soprattutto, dal suo messaggio costante, dalla sua idea. La mia è un po’ diversa dalla sua, tuttavia lui con la sua chiarezza e autorevolezza ti porta sempre all’obiettivo. Contro di noi ha cambiato la formazione 3, 4 volte in pochi minuti per crearmi dei disturbi e cercare la vittoria. Secondo me ha fatto anche molto bene, indipendentemente dal risultato finale. A ogni suo adattamento corrispondeva qualcosa di diverso da parte mia. Non è stato semplice, te lo posso assicurare. Un altro molto complicato è stato Gasperini. Mi è stato detto che per la prima volta l’hanno visto difendere a quattro, cosa che non faceva mai. Mi ha obbligato a cambiare tanto, a trovare ripetutamente delle contromisure. Quando ha inserito Brescianini come quinto a sinistra mi ha messo in crisi. Io presto tanta attenzione agli avversari, è una parte fondamentale del mio mestiere. Sta dando ottimi risultati anche il lavoro individuale sul giocatore. Un mio collaboratore si occupa di un singolo per volta. È un sistema che il giocatore apprezza, lo fa sentire importante, seguito. Mi chiedevi dello studio degli avversari... Il nostro analista guarda le ultime sei partite della squadra che affronteremo e mi relaziona su quelle. Io l’avversario lo studio vedendo due o tre partite. Ho bisogno di ottenere tutte le informazioni su chi troveremo per poterle trasferire alla squadra. Per capire come possiamo far male agli altri. Ho avuto tanti maestri di alto livello. Mourinho e Guardiola diversi? Ma diversi in cosa? Sul campo forse, ma fuori sono malati di vittoria, hanno una incredibile mentalità vincente e una notevole capacità di trasferirla alla squadra. Antonio è della stessa pasta. Wenger è il migliore che ho avuto. Soprattutto ora, in questo mio inizio da allenatore, è una figura importante e presentissima. Mi ha scritto anche ieri, mi scrive sempre dopo ogni partita. Ci sono cose sue che mi porto dentro da allora. Come gestiva i giovani e come era moderno nel linguaggio, parlava con tutti, si soffermava a lungo dopo l’allenamento, teneva in grande considerazione anche l’ultimo del gruppo. Aveva sempre tutto sotto controllo e una straordinaria credibilità. Era veramente avanti, un formidabile anticipatore. Il riferimento tattico? Guardiola su tutti. Lavorava tanto sulla tattica, ti mostrava sempre cose diverse, altri sviluppavano maggiormente l’aspetto della gestione. Poi, certo, in campo andavano giocatori in grado di esaltare le sue idee, Xavi, Iniesta, Puyol, Messi... Tornando a Wenger, mi colpiva il fatto che cercasse sempre giocatori in grado di adattarsi alla sua idea di calcio. Non importava che fossero i migliori, voleva quelli più funzionali. I Rosicki, i Van Persie, i Senderos, Xhaka, Reyes, Özil, Debuchy, poi, certo, anche i Bergkamp". 

Inevitabile, poi, affrontare il tema di dove possa allenare nella prossima stagione: "La Roma ha cercato tanto me quanto Emery? Emery è bravissimo, all’Aston Villa ha un progetto molto interessante. Monchi? Quando ero al Chelsea mi cercò per la Roma. Stavo attraversando un momento difficile. Conte, appena arrivato, impiegava Matic e Kanté in mezzo al campo nel 3-4-3. Sono situazioni che si verificano, ma non la stavo vivendo bene. Ho dovuto spingere tantissimo per farmi apprezzare da lui e trovare spazio. Bene, in quel periodo parlai con Monchi per la Roma e Gazidis per il Milan. Mi volevano entrambi. Anche Ancelotti fece un tentativo quando stava a Napoli. Una sera era al ristorante con la moglie e quando Darren lo vide mi disse “vedrai che Carlo ti chiederà di andare al Napoli. Fu la prima cosa che mi disse quando mi strinse la mano: “Sei pronto per venire da me?”.

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