La triste storia di Murtaza, il ragazzino che commosse anche Messi

Costretto a sfollare da un attacco talebano, non ha più una casa e gli hanno rubato le maglie dei suo idolo

  • A
  • A
  • A

Mai smettere di sognare, perché i sogni possono diventare splendide realtà. E poi, come ha scritto Gabriel Garcia Marquez, “l'illusione non si mangia, ma alimenta”. Belle parole. Bellissime forse, soprattutto se fanno parte di un discorso motivazionale, soprattutto se vanno ad abbracciare settori della vita che dipendono dalla nostra volontà e dalle nostre forze. Ma non è tutto così. La volontà umana può raggiungere vette elevatissime, purtroppo non può sconfiggere eventi devastanti come una guerra.
Tutti ricordano la storia di Murtaza Ahmadi, il ragazzino afgano che nel 2016 venne fotografato mentre giocava a calcio vicino a casa sua indossando una maglia dell'Argentina con il nome di Messi che lui stesso si era prodotto utilizzando una busta del supermercato e dei pennarelli. Quella splendida istantanea commosse il mondo e Murtaza venne invitato in Qatar a passare qualche meravigliosa ora insieme al suo idolo. Poi tornò a casa in Afghanistan, portandosi come ricordo le maglie che lo stesso Messi gli aveva regalato e autografato. Ma la vita dà e la vita toglie. A distanza di un paio d'anni quella storia fantastica sembra essersi trasformata in un vero e proprio incubo.
Fino a un mese fa, Murtaza abitava insieme ai genitori e a quattro fratelli in una zona considerata molto sicura, nel distretto di Jaghori, sugli altopiani della regione centrale dell'Afghanistan, un posto dove le donne – caso raro nei Paesi musulmani – erano addirittura libere di muoversi in bicicletta. Sembrava una specie di isola felice, inattaccabile dalla guerra civile o quasi, rifugio della minoranza etnica sciita Hazara. Sembrava.
Tra il 7 e l'8 novembre è successo il finimondo. I talebani hanno scatenato un attacco che ha colpito una base dell'esercito nel distretto di Khawja Ghar, nella provincia di Takhar, ma anche i distretti di Dasht-e Archi e appunto di Jaghori, nella provincia di Ghazni, dove i civili hanno imbracciato le armi insieme alle forze di polizia locale per reagire all'assalto, ma non sono riusciti a evitare la strage di truppe d'élite dell'Esercito regolare: le più addestrate ed equipaggiate. Ecco cosa ha vissuto quel povero ragazzino nell'ultimo mese della sua vita. E l'agenzia giornalistica internazionale (di lingua spagnola) EFE è riuscita a ritrovarlo. Non ha più una casa, vive in un centro d'accoglienza per profughi insieme a tutto il resto della famiglia. Non ha più le maglie che gli ha regalato Messi, sono andate perse (rubate) durante gli assalti dei talebani.
La necessità di scappare rapidamente non ha lasciato spazio ai sentimenti calcistici. “Non ho più nemmeno un pallone, non posso nemmeno giocare per la strada, ho tanta nostalgia di quello che avevo a Jaghori”, ha raccontato Murtaza tra le lacrime. Il motivo per cui non può uscire lo ha raccontato il fratello diciassettenne Humayoon: “La gente pensa che Messi ci abbia regalato chissà quanto soldi, ma non è vero. Abbiamo paura che qualcuno rapisca Murtaza per chiederci un riscatto che non possiamo pagare”. Quindi le giornate le ragazzino sono non soltanto senza un campo e senza un pallone, ma anche senza una qualsivoglia attività ludica. Fino a un mese fa era una vita normale che aveva vissuto un lampo di gloria durante l'incontro con l'idolo, oggi è solo un inferno.

Leggi Anche

Commenta Disclaimer

I vostri messaggi 0 commenti