Il fuorigioco fa 90 anni: "Oggi è più difficile, ma per farlo serve mentalità offensiva"

Arrigo Sacchi a SportMediaset.it: "Il braccio alto di Baresi e compagni? Fu una mia indicazione"

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Che sia una sfida di cartello in campionato, vedasi l'ultimo Napoli-Juventus e il gol di Caceres, o il gol decisivo in una finale di Champions, il fuorigioco è da sempre al centro dei dibattiti calcistici, dai salotti televisivi alle più classiche chiacchiere da bar. Che le scelte siano giuste o sbagliate se ne parla e il "povero fuorigioco" è sempre al centro di modifiche per la fame di spettacolo e gol. Nel 2015 un modo per segnalarlo con certezza assoluta non c'è, per fortuna forse, ma quest'anno la regola più discussa di sempre compie 90 anni. E non sentirli, direbbe qualcuno.

Nel 1925 si segnava poco e si decise di passare all'offside da tre a due difensori, come oggi lo conosciamo. Da allora i gol sono aumentati, ma poche squadre hanno saputo fare di questa regola un punto di forza. L'Ajax di Cruijff, il Milan di Sacchi, Barcellona, Bayern e anche il Foggia dei miracoli di Zeman. Proprio Arrigo Sacchi, in esclusiva ai microfoni di SportMediaset.it, ha ripercorso alcuni momenti del suo Milan e della tattica del fuorigioco chiamata da Baresi e compagni.

Mister Sacchi, come nacque l'idea di sfruttare il fuorigioco in maniera continuativa?
Il mio Milan non faceva fuorigioco sistematico. Noi aggredivamo sempre la palla e la squadra saliva. Il fuorigioco diventava una conseguenza per il nostro modo di preparare un attacco. Il risultato di un grande lavoro e di un'organizzazione difensiva precisa e studiata.

Quanto lo avete studiato in allenamento per renderlo così efficace?
Era il frutto di un lavoro enorme. Quando la palla in possesso dell'avversario era coperta, la squadra cercava sempre di mantenere delle distanze uguali tra le varie linee, quindi salivamo per aggredire e in quel momento gli avversari rimanevano dietro di noi in fuorigioco. Mi ricordo quando allenavo il Parma che subimmo un contropiede 3 contro 5, indietreggiammo finché decidemmo di aggredire il portatore di palla che in quel momento non seppe più cosa fare col pallone perché gli altri erano in offside.

Quali erano i vantaggi e gli svantaggi?
L'ho sempre fatto anche a Cesena e a Firenze per far sì che la mia squadra avesse sempre l'iniziativa anche quando la palla era in possesso degli altri.

Cosa serviva per farlo alla perfezione?
I Romani nell'antichità conquistarono la Gallia con un sistema chiamato “Testuggine” dove i soldati erano così vicini che gli altri non riuscivano a entrare. L'idea era di avere una squadra molto compatta per avere più possibilità di gioco quando eravamo in possesso di palla e più facilità di raddoppiare quando la palla l'avevano gli altri e pressare.

L'immagine del fuorigioco del suo Milan è il braccio alzato di Baresi. Opera sua anche quella? 
Non era solo Franco Baresi ad alzare la mano, erano tutti e quattro i giocatori della linea difensiva a farlo per aiutare l'arbitro. Ho sempre detto che l'allenatore dev'essere il direttore d'orchestra e i giocatori gli interpreti. Da direttore le indicazioni le diedi io...

Come mai oggi non lo fa più nessuno in maniera sistematica? 
All'epoca c'era un tipo di fuorigioco diverso, poi hanno pensato di cambiarlo per aumentare il numero di gol e lo spettacolo. Ma noi facemmo molti gol proprio grazie a quella tattica. Oggi è più difficile perché hanno complicato questa regola, ma qualche squadra lo fa ancora come il Bayern Monaco. Certo che per farlo bisogna anche giocare in attacco, non solo in difesa.

Della nuova regola cosa ne pensa? 

Stanno cercando in tutti i modi di spettacolarizzare la partita, ma credo che si dovrebbe cercare di lavorare su una mentalità offensiva prima di tutto. Le squadre che fanno catenaccio non hanno bisogno del fuorigioco, non a caso i migliori interpreti oltre al Milan sono stati Ajax, Barcellona e Bayern. 

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