ATALANTA

Dea troppo contratta e senza punte vere, ma può essere una lezione per Dublino

La sconfitta in finale di Coppa Italia fa riapparire vecchi fantasmi in casa bergamasca

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Gasperini ci sarà anche abituato ma, nel rutilante mondo che ha sostituito la realtà fattuale con l'opinionismo, con l'inevitabile corredo dell'etichetta che ti marchia a vita, è facile pensare che la sconfitta in finale di Coppa Italia con la Juve rilanci la famosa domanda "sì, ma cosa ha vinto?". Nella logica del bar, che ha sostituito qualsiasi analisi, è anche complicato confrontarsi con chi considera normali affermazioni del genere e fare capire che lui guida l'Atalanta e non altre squadre, sempre a strisce, con colori uguali o quasi uguali, ma con interpreti diversi.  

I nerazzurri gli interpreti li hanno fatti crescere, e arrivare a giocarsi trofei, nel laboratorio di Zingonia. Dato a Gasp quello che è di Gasp, non si può però non rimarcare i limiti dell'Atalanta nella partita di Roma. Il dominio del possesso palla non è una scusante, anzi è un aspetto che peggiora la valutazione globale della prestazione nerazzurra. La ferocia vista con la Roma è stato un pallido ricordo e fa nascere il forte sospetto che alcuni giocatori non siano scesi in campo troppo sereni, limitati dall'importanza della partita. All'aspetto psicologico va aggiunto quello fisico, che poi riguarda l'assenza in mezzo all'area di un attaccante vero come Scamacca

A parziale scusante c'è il fatto che la partita si è messa esattamente sui binari sognati dall'allenatore della Juventus che, passato in vantaggio con un'azione probabilmente studiata da Padoin o Magnanelli (palla avanti, palla indietro per Cambiaso e verticalizzazione per Vlahovic lanciato a rete), si è ritrovato ad affrontare la gara dei suoi sogni, quella con un blocco basso che aspetta compatto e riparte con gli strappi individuali o le verticalizzazioni per chi sta davanti.

Gasp ha provato a variare le posizioni di chi stava in attacco, Koopmeiners, De Katelaere e Lookman, a cambiare sulle fasce e in mezzo, a mettere una punta vera, El Bilal Touré, a provare la carta Miranchuck, ma le azioni arrivavano solo nei pressi dell'area bianconera e i tentativi si limitavano a cercare qualcuno sulla fascia per metterla in mezzo (spesso raddoppiato o triplicato), o provare l'imbucata centrale per una sponda che non si è quasi mai vista a causa dell'applicazione ferrea dei difensori della Juve. In più, il piano gara dello staff bianconero prevedeva il movimento senza sosta dei centrocampisti (vedi soprattutto Rabiot) che costringeva, nel gioco delle marcature uomo contro uomo, a spostamenti sfiancanti i dirimpettai nerazzurri.

Ora ci sono sei giorni per preparasi per Dublino. Le cattive notizie sono relative alla possibile assenza di De Roon e alla portata della Coppa che ci si va a giocare, più stordente dal punto di vista psicologico di quella nazionale dell'Olimpico. Le buone arrivano dal fatto che ci sarà per fortuna una punta centrale e che il Bayer Leverkusen, pur attento in fase difensiva, saprà anche aprirsi e concedere qualcosa. A Gasp non resta che lavorare sulla testa dei suoi visto che, più che l'aspetto tecnico e tattico, è questo il punto focale su cui si giocherà la finale di Europa League.

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