THE ENGLISH GAME

Agli albori del calcio moderno: Fergie Suter e l'inizio del professionismo

Una serie tv di Netflix racconta l'epopea del Blackburn, prima squadra proletaria a vincere la FA Cup

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Il calcio come lo conoscono tutti gli appassionati è un cumulato di introduzioni regolamentari, esperimenti tecnici e novità tattiche. Uno dei primi grandi cambiamenti nell'approccio a questo sport fu l'avvento del professionismo, recepito in anni diversi tra i vari paesi. Se in Italia fu messo nero su bianco solo con la Carta di Viareggio del 1926, oltremanica il passo era stato compiuto più di 40 anni prima. Il pioniere di questo cambiamento fu Fergus “Fergie” Suter, uno scozzese emigrato in Inghilterra. La sua storia è raccontata nella serie tv di Netflix “The English Game”, che riporta gli appassionati a un calcio primordiale, fatto di porte senza reti, pantaloni alla zuava e maglioni lunghi come divise da gioco.

In teoria Suter era uno scalpellino, in pratica veniva remunerato anche per giocare a calcio. Lo venne a sapere James Walsh, il proprietario di un piccolo club del Lancashire (regione del nord operaio), che nel 1879 pagò Suter e Jimmy Love, suo amico d'infanzia nonché calciatore, per dare l'assalto alla FA Cup, terra di conquista delle squadre del sud borghese. Il club era il dopolavoro di un cotonificio e si chiamava Darwen. Nei quarti di coppa doveva affrontare l'Old Etonians, il team che rappresentava gli ex studenti di Eton (il liceo più prestigioso del mondo), fondato e capitanato da Lord Arthur Kinnaird, leggenda del calcio vittoriano. L'Old Etonians era composto da ragazzi agiati, allenati, che non saltavano un pasto, al contrario di quelli della working-class. Che però avevano negli “Scotch professors” due alleati: Suter era un regista difensivo con spiccato senso dell'anticipo, Love un classico bomber.

Suter era l'esatta espressione del calcio scozzese, che all'epoca portò numerose innovazioni rispetto a quello inglese: se quest'ultimo proponeva un'impostazione di gioco basata sulla palla lunga, gli scozzesi inventarono il “passing game”, chiamato così perché costruito su una rete di passaggi molto più fitta. Il focus si spostava dunque dall'uomo allo spazio: contavano più le idee della corsa.

Il calcio di Suter richiamava un'idea di collettività che ben si prestava a una squadra proletaria come il Darwen. Il sogno si spezzò ai quarti di finale dopo una battaglia durata tre partite, ma ciò che più importava era aver reso la classe operaia degna di competere con l'odiata borghesia. Il nord dava un segnale di presenza e il calcio sarebbe stato per tutti, pagati o meno. E poi, la fine di un sogno non equivale a smettere di sognare. Suter e Love partirono per Blackburn, dove le paghe erano più alte; il primo, con quei Rovers, vinse tre FA Cup di fila (1884, 1885, 1886), ma non l'edizione del 1883 come invece raccontato da Netflix (probabilmente per adattare la realtà alle esigenze della serie). Quell'anno furono i rivali cittadini del Blackburn Olympic a fare la storia: il nord Inghilterra era entrato nell'albo d'oro e, soprattutto, aveva messo il tema del professionismo all'ordine del giorno.

Le squadre proletarie avevano bisogno dei professionisti affinché la competizione fosse equa: molti operai scendevano in campo senza allenarsi e con turni di lavoro sfiancanti. E che dire del pubblico, che già all'epoca aveva nel football l'unica valvola di sfogo dopo una settimana in fabbrica. La Federazione, inizialmente scettica nell'aprirsi ufficialmente ai professionisti e abbarbicata a privilegi classisti, cedette nel 1885. Decisivo il contributo di Lord Kinnaird: a costo di andare contro i suoi interessi, intuì e assecondò le potenzialità del calcio come linguaggio globale, che pertanto non poteva essere ridotto a circoli elitari. Diventò presidente della Federazione e mantenne la carica per 33 anni, fino alla morte (1923): se il calcio è una religione laica universale, il merito è anche suo.

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