Il pilota canadese, figlio dell'indimenticato Gilles, compie 49 anni: è stato campione del mondo di Formula 1 nel 1997, dopo un incidente storico con Michael Schumacher
Essere figli d'arte può rappresentare tanto un privilegio quanto un fardello. Se poi il padre è stato un campione, i paragoni diventano spontanei. Jacques Villeneuve ha dovuto convivere con il peso della figura paterna sin dalla nascita, datata 9 aprile 1971, esattamente 49 anni fa. Poco dopo l'11esimo compleanno perse papà Gilles, morto in un incidente a Zolder, in Belgio. Decise di correre sulle quattro ruote anche per raccoglierne l'eredità. Una sola idea in testa: arrivare dove nemmeno il padre riuscì, il titolo mondiale di Formula 1.
Il canadese passò dall'essere il figlio di Gilles a, semplicemente, Jacques Villeneuve già prima dell'arrivo in Formula 1: negli Stati Uniti vinse infatti la 500 miglia di Indianapolis e il campionato CART. La Williams lo mise sotto contratto nel 1996 per il ruolo di sparring partner di un altro figlio d'arte, Damon Hill, molto più quotato e alle ultime cartucce da sparare. Tuttavia, Jacques si presentò nel Circus con una pole position nella gara australiana di Melbourne: non male come biglietto da visita, se si aggiunge che il giorno dopo solo un problema alla pompa dell'olio lo separò dalla vittoria.
Ben presto gli addetti ai lavori si resero conto che Villeneuve fosse ben più di una seconda guida e che il vecchio leone Damon avrebbe dovuto faticare non poco per portarsi a casa il titolo. Con Michael Schumacher appena agli inizi in Ferrari, soprattutto nella seconda parte di stagione fu proprio Villeneuve l'avversario principale di Hill: dopo quattro vittorie nel primo anno di Formula 1, il canadese arrivò all'ultima gara con qualche chance residua di vittoria finale.
Ma il suo turno arrivò l'anno successivo, nel 1997. Frank Williams gli diede la prima guida, anche perché Hill scelse il progetto Arrows (poi fallimentare). Lo stile di guida di Villeneuve, non al pari del padre ma comunque molto aggressivo, ben si adattava alla Williams, che partiva da una base nettamente migliore rispetto alla Ferrari. Tuttavia l'addio di Adrian Newey, che avrebbe fatto la fortuna della McLaren negli anni immediatamente successivi, riequilibrò la lotta e la scuderia inglese dovette faticare contro una Rossa inferiore ma che aveva uno Schumacher ai massimi livelli.
L'indole più istintiva che lungimirante di Villeneuve lo portò a diversi errori nel corso della stagione e non aiutò in termini di sviluppo gli ingegneri: la Williams, sostanzialmente, non fece passi avanti. E così, quello che sembrava un campionato da vincere comodamente si trasformò in una sfida tra le più equilibrate degli ultimi anni. Complice una squalifica nel penultimo Gran Premio, quello di Suzuka, Villeneuve arrivò all'ultima gara (Jerez) con un punto di svantaggio rispetto a Schumacher. Il tedesco, dunque, doveva solo stare davanti al rivale per avere la sicurezza di vincere un campionato in cui i due si erano più volte punzecchiati. Perché se Schumacher aveva già dimostrato di essere un pilota pronto a qualsiasi manovra pur di vincere, Villeneuve non era certo un tipo che le mandava a dire. Che quello fosse un weekend epico lo si notò già il sabato: i due rivali, insieme ad Heinz-Harald Frentzen, registrarono un tempo identico in qualifica. La domenica il Kaiser bruciò Villeneuve alla partenza e passò al comando. Ma se si è figli dell'Aviatore qualcosa di speciale bisognerà pur averlo nel Dna: il canadese durante la gara rischiò il tutto per tutto e recuperò cinque secondi di svantaggio.
Schumacher, per la prima volta in carriera, crollò sotto la pressione. Al 47esimo giro il momento-chiave: Villeneuve, attaccato agli scarichi della Ferrari, ruppe gli indugi e superò il rivale alla prima curva; “Schumi” lo speronò ma finì fuori pista, ritirandosi. Il tedesco ammise che quella fosse l'unica strada per vincere il Mondiale: un azzardo umiliante e inutile, perché Villeneuve non riportò danni seri e si prese il campionato al suo secondo anno di esperienza.
Prima del Mondiale del 1998 la Renault abbandonò la Williams, che aveva già problemi di aerodinamica. Il neo campione del mondo commentò i test invernali con un “Meglio se non parlo”, lasciando intendere la scarsa competitività della macchina, ancora ferma ai progetti del 1997. Villeneuve riuscì comunque a portare a casa due podi, ma più di quello, con McLaren e Ferrari nettamente superiori, era difficile fare.
Si trasferì dunque alla neonata BAR, fondata dal suo amico e mentore Craig Pollock. Dopo un primo anno disastroso, Villeneuve perse forse qualche motivazione, e la preponderanza sempre più netta dell'elettronica certò non aiutò i piloti della “vecchia razza” come lui. Tenne duro qualche anno ma lasciò la Formula 1 nel 2006. Resosi conto di non poter più essere competitivo, visse gli ultimi anni della carriera nel Circus soprattutto da provocatore. Lingua lunga, quella di Jacques. E spesso affilata nei confronti della Ferrari, definita una “macchina per vecchi a fine carriera”, che avrebbe guidato “solo se pregato”. Dopo il 1997 la sua stella divenne sempre meno luminosa. Ogni tanto qualche baleno riconducibile a singole gare. Poi molti ritiri e qualche incidente. Uno, tremendo: a Melbourne, nel 2001, Ralf Schumacher gli frenò davanti facendolo schiantare a 285 km/h contro le barriere di protezione. Ne uscì incredibilmente senza un graffio, ma purtroppo nell'impatto morì un commissario. Per alcuni terribili secondi Villeneuve fu prigioniero di un volo che avrebbe potuto ucciderlo. Esattamente come papà Gilles, ma almeno Jacques quella sottile linea tra la vita e la morte non l'ha oltrepassata.