L'EDITORIALE DI BRUNO LONGHI

Milan, palla a Leao e lo schema è da scudetto

L'attaccante portoghese l'arma in più dei rossoneri, Tonali il giustiziere implacabile

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© Getty Images

Se in passato, e per ben due volte, Verona è risultata fatale e letale, va pure detto - rimanendo nell’ambito delle statistiche o dei corsi e ricorsi storici - che dal disastro del ’73 in poi il Milan ha sempre conquistato lo scudetto quando ha vinto al Bentegodi. È accaduto nel ‘79, nell’88 e nel ‘92. Inoltre, anche nella stagione conclusasi con la conquista della stella, vi riuscì con lo stesso risultato di 3-1. E anche allora come adesso il titolo era assente ingiustificato da Milanello esattamente da 11 anni. Per chi ci vuol credere…

Fatta questa premessa decisamente poco tecnica, va detto che se il Milan era fino a settimana scorsa padrone del proprio destino, ora lo è ancora di più. Perché si trova nell’invidiabile situazione di potersi permettere il lusso di pareggiare una delle ultime due partite con Atalanta e Sassuolo, sempre a patto che l’Inter vinca le sue. A Verona ha risposto in tutto e per tutto a ciò che i nerazzurri avevano fatto con l’Empoli. Una partita in fotocopia. Ha vinto in rimonta dopo aver rischiato di chiudere in svantaggio il primo tempo. E lo ha fatto grazie alle accelerazioni di quell’incredibile talento che risponde al nome di Leao. Se tutti i suoi compagni giocano in serie A, lui è in Premier. È prevedibile nelle sue accelerazioni ondulate. Ma inarrestabile.

E’ il terminale dello schema vincente di Pioli. La squadra, a differenza di quasi tutte le altre del campionato, non cerca quale punto di riferimento la punta. Ovunque sia la palla, fa di tutto per portarla a destinazione, nella sua zona. E dal momento in cui ne è in possesso inizia un'altra partita. In cui si avverte ineluttabilmente che qualcosa possa accadere.

Fa la differenza. È un tornado che pare sradicare ogni ostacolo che gli si para davanti. È la marcia in più grazie alla quale Pioli può costruire di questi tempi le vittorie decisive. Senza i suoi raid, incontenibili, non ci sarebbero i gol di Tonali. Il cui grande merito è di farsi trovare nel posto giusto al momento giusto. Ma è Leao che semina il panico lungo il fianco destro delle difesa avversaria. Ne manda in tilt il dispositivo tattico. Si creano vuoti e confusione in area di rigore. E chi dei suoi ne conosce e ne prevede le mosse, si fa trovare pronto per la battuta decisiva. Se Leao è l’arma in più di questo Milan che va a tutto pressing, come nel caso della rete del pareggio in cui ha costretto Caprari all’errore. Tonali ne è il cuore, il cursore, l’incontrista, il giustiziere implacabile. Lo testimoniano non solo i due gol che ha realizzato sospingendo il pallone in porta, ma anche il primo, quello annullato per fuori gioco, in cui era stato abile nel saltare l’avversario e lucido nell’insaccare alle spalle di Montipò. Senza dimenticare l’acuto decisivo nel finale dell’Olimpico contro la Lazio. Ed è pure un predestinato visto che è nato l’8 maggio, stessa data di un certo Franco Baresi.

Il Milan ha preso la rincorsa. Vede il traguardo. Potrebbe già festeggiare domenica prossima. Mentre l’Inter - seppur fortissima - è costretta a tenere in vita la flebile fiammella della speranza. E a rimuginare su ciò che non sarebbe dovuto accadere a Bologna. È il fascino un po’ perverso di questo campionato in cui a due giornate dal termine ci sono solo 5 squadre escluse dai cosiddetti obiettivi primari. Dello scudetto, delle coppe europee, o della salvezza. Ed è proprio in fondo alla classifica che le ultime due giornate divengono decisive per sopravvivere in Serie A o per cadere nel baratro della retrocessione. Dopo che in questo week-end si sono giocate partite in cui la gioia di un gol all’ultimo minuto si è mischiata al dramma di chi lo ha subito. È accaduto a Marassi, a Venezia, a Salerno. E il bello, o il brutto, deve ancora arrivare.

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