Pellegrini vedeva in loro il pragmatismo e la concretezza tipici di Milano
di Enzo Palladini© Getty Images
Aveva un debole per i tedeschi e non era certo casuale. In loro vedeva la continuazione ideale della sua milanesità, del suo pragmatismo operoso, della concretezza che accompagnava ogni momento della sua vita imprenditoriale e sportiva. Li ammirava perché si fidava della loro affidabilità, sapeva che anche quando non vincevano, uscivano dal campo dopo aver dato tutto.
Il primo fu Karl-Heinz Rummenigge. Sembrava un colpo impossibile, perché quell’attaccante immarcabile era il sogno proibito di quasi tutti i grandi club d’Europa. Un giocatore che solo con la sua presenza incuteva timore. Visto da dietro, con quella muscolatura ipertrofica che sprigionava potenza, metteva ancora più paura. Ernesto Pellegrini lo prese per 8 miliardi dal Bayern Monaco nel 1984. In cambio, ricevette gol di elevatissima qualità ma zero vittorie. “Kalle” fu anche sfortunato nella sua avventura interista, venne frenato varie volte dagli infortuni. Eppure, tutti i tifosi interisti che hanno avuto la fortuna di vedere le sue accelerazioni impressionanti, lo ricordano ancora con le lacrime (di gioia) agli occhi.
Poi arrivarono quelli che vinsero. Primavera del 1988: dopo un blitz dell’allora direttore generale Paolo Giuliani, Pellegrini ricevette una telefonata che gli imponeva una scelta immediata: “Possiamo prendere Matthaeus, servono 8 miliardi di lire”. Il presidente non ci pensò due volte: prendiamolo subito. Nell’operazione venne offerto anche un altro campione tedesco, compagno di Lothar al Bayern Monaco: Andreas Brehme. Era in scadenza di contratto con il club bavarese, si poteva prendere versando un indennizzo di 2,7 miliardi al club di appartenenza. “Portiamolo a casa”. Se Matthaeus era il simbolo di una squadra che nei suoi venti minuti di furore stendeva qualunque avversaria, Brehme si rivelò uno degli investimenti più redditizi: bravo in difesa e in attacco, preciso nei calci piazzati, infallibile dal dischetto. I due furono la base dello scudetto dei record 1988-89.
Non furono solo tedeschi i grandi colpi di Pellegrini sul calciomercato, un argomento che lo stimolava sempre tantissimo, soprattutto quando doveva entrare in competizione con i rivali storici. Sempre nel 1988 strappò Nicola Berti al Napoli, trasformandolo in uno dei simboli dell’interismo nel mondo. Grande colpo fu anche strappare Giovanni Trapattoni alla Juventus per costruire un’Inter vincente sia in Italia che in Europa (Coppa Uefa 1990-91).
Paradossalmente fu un cambio di rotta e far finire le fortune di Pellegrini sul mercato. Nel 1993 spostò la sua attenzione dai fidati tedeschi agli olandesi, che avevano scritto la storia del Milan. Volle Denis Bergkamp a tutti i costi, spese 25 miliardi di lire più 8 miliardi per quello che sembrava (ma in realtà non era) il suo complemento ideale, Wim Jonk. Bergkamp veniva considerato un potenziale Pallone d’oro ma l’Italia non faceva per lui e in quegli anni il vero idolo della tifoseria interista era Ruben Sosa, anche in questo caso preso quasi per scommessa in scadenza di contratto dalla Lazio per regalare però magie in sequenza al pubblico di San Siro.