IL RICORDO DELLA MOGLIE

Arianna, un anno senza MIhajlovic: "Ha sperato fino all’ultimo, non gli abbiamo detto che stava morendo"

La moglie al Corriere della Sera rivive i momenti della malattia del marito e gli ultimi attimi insieme: "Solo in quest’ultimo mese ho coscienza che non c'è più"

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“Nell'ultimo mese, i medici mi hanno detto che sarebbe morto. Non sapevo se dirglielo. Mi sono confrontata con tutti e cinque i figli. Non l'ho detto a nessun altro. Abbiamo deciso di non dirglielo, per non togliergli quel lumicino di speranza. D'altra parte, lui non ci ha mai chiesto se ce l'avrebbe fatta, ha sempre lottato perché era un uomo che non avrebbe accettato di morire". A un anno dalla morte di Mihajlovic, la moglie Arianna Rapaccioni rivive i momenti della malattia di Sinisa e quelli del distacco, anche se "solo in quest’ultimo mese sto prendendo coscienza del fatto che mio marito non c’è più", ha raccontato in un'intervista al Corriere della Sera.

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“Mio marito aveva la leucemia ma non avevo messo in conto che potesse morire - ha proseguito Arianna, che è stata insieme a Mihajlovic 27 anni e con cui ha avuto 5 figli - Poi, certo, non sono stupida e la sua era una malattia importante, ma anche lui negava l’evidenza. Sinisa non leggeva i referti, non guardava su Internet, voleva solo sapere quali cure fare. Ha sperato fino all’ultimo di guarire. Ha lottato come un leone, ha fatto cure allucinanti, due trapianti, una cura sperimentale tostissima… Gli sono stata accanto negli ospedali per quattro anni. Credo che il mio stato shock dipenda anche dalla sofferenza vissuta insieme. Ricordo ancora i suoi occhi terrorizzati quando ci hanno detto che aveva una recidiva". E ancora: "Per giorni, io e i figli gli siamo rimasti accanto a turno e la cosa struggente è che l’ultima notte, invece, eravamo tutti lì. I figli erano nella stanza accanto, c’ero io, sua madre, suo fratello con la moglie, il suo miglior amico, mia madre. Quando mi sono resa conto che il suo respiro è cambiato e che mancava poco, ho chiamato i ragazzi. Eravamo tutti in silenzio attorno a lui. Gli ho tenuto la mano, l’ho visto lottare col respiro sempre più pesante. Mi è venuto da dirgli: vai, non ti preoccupare, ai ragazzi ci penso io. Solo a quel punto è spirato".

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