ALPINISMO

Simone Moro: "Spero che a furia di insistere... io sia diventato simpatico al Manaslu fino a concedersi!" 

Sta per passare alla fase dell'azione il nuovo progetto invernale dell'alpinista bergamasco sull'ottava vetta del nostro pianeta.

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Più rispetto che amore, tanta pazienza al posto della smania della vetta. C'è tutto questo e molto altro ancora nel quarto tentativo di Simone Moro di aggiungere il Manaslu - alla sua collezione di "ottomila" nella stagione invernale propriamente detta. Abbiamo intervistato l'alpinista e testimonial "The North Face" alla vigilia della partenza per il Nepal (avvenuta il primo giorno di dicembre) , in occasione del lancio di "A ogni passo", il libro-conversazione con il suo secondogenito Jonas nella cornice della libreria Rizzoli in Galleria Vittorio Emanuele II di Milano.

Manaslu, quinta perla della "collana" di ottomila invernali. È quello che, intervistando Simone un paio di giorni prima della partenza, abbiamo definito il suo nuovo-vecchio sogno: aggiungere appunto l'ottava vetta della Terra ad una "collezione inverno" che vanta già il successo su Shisha Pangma (2005),  Makalu (2009), Gasherbrum II (2011) e Nanga Parbat (2016), il più recente ed il più difficile. Ed è proprio al gigante pakistano del Kashmir che Simone si riallaccia subito, come per tirare le fila e riprendere un discorso per la verità iniziato nell'inverno 2015/2016 (e poi riannodato nelle stagioni fredde 2018/2019 e 2020/2021) sulla "Montagna dello Spirito" - il Manaslu, appunto - che lo sta impegnando a fondo e probabilmente oltre ogni previsione: non solo nelle difficoltà tecniche ma anche - se non soprattutto - nella preparazione fisica, logistica ed anche psicologica.

 

SM: Diciamo che a me piace chiudere i cerchi e mi piace anche dichiararlo! Il Manaslu è considerato nel mondo dell’alpinismo un ottomila “facile” ma nei miei confronti si sta dimostrando ad esempio più ostico di quello che il mondo alpinistico considerava impossibile oppure la montagna killer: neanche il Nanga Parbat insomma mi aveva respinto tre volte! Quindi Manaslu, con la consapevolezza che di facile non c’è nulla, soprattutto in inverno. Anche ciò che può sembrare facile nella stagione propizia, nella stagione invernale non lo è più. Sotto molti punti di vista, l’inverno himalayano rimane una stagione “inumana”. Questa volta ho cambiato strategia. La partenza all’inizio di dicembre (che non è ancora inverno ma tardo autunno)  mi permette di portarmi avanti a livello di allenamento e di acclimatamento nella valle dell’Everest. L’idea è quella di salire l’Ama Dablam (una montagna di 6812 soprannominata “il Cervino dell’Himalaya" per la sua caratteristica conformazione, ndr), piantare una tendina in vetta e passarci una o due notti in modo da riprodurre la quota dei campi alti del Manaslu. Dopo il 21 dicembre (primo giorno d’inverno) mi sposterò al campo base del Manaslu e - ormai acclimatato - essere spero nella posizione di poter approfittare delle prime finestre di bel tempo che di solito si verificano tra la fine di dicembre ed i primi giorni del nuovo anno. Realisticamente, il primo tentativo di vetta potrebbe avere luogo a metà gennaio. Se poi dovesse essere anche un po’ prima… tanto meglio. Ho un biglietto di ritorno per il 14 febbraio ed è un biglietto aperto, quindi posso addirittura prolungare la spedizione fino alla fine della stagione invernale. Mi piacerebbe che la pazienza che sto dimostrando e che sono pronto a dimostrare anche questa volta fosse ripagata e che magari - a furia di insistere - al Manaslu sia diventato simpatico e che mi conceda qualche giorno di bel tempo per raggiungerne la cima!

Pur ostacolato da un contrattempo iniziale (ritardo del volo alla partenza da Milano Malpensa, con conseguente coincidenza persa e - di conseguenza - un paio di importanti giorni di preparazione in quota...), Simone si accinge quindi a dare il via alla fase preparatoria, sul terreno, di una spedizione che il "nostro" (fedele come abbiamo visto al suo concetto di spedizione invernale", al di là del semplice ma cruciale cambio di strategia) divide questa volta con un team - diciamo così - tutto in divenire!

SM: I miei compagni d’avventura sono cambiati… in corso d’opera. L’ultimo forfait è stato quello di Sajid, il figlio di Alì Sadpara (che ha perso la vita lo scorso inverno sul K2 insieme a John Snorri e Juan Pablo Mohr, ndr). Ha avuto un problema molto serio a livello psichico: un vero e proprio “burnout". L’hanno trovato che non sapeva più chi fosse, straparlava e stava bruciando i pochi soldi che aveva con sé. L’hanno dovuto prelevare di forza al campo base della spedizione francese nella quale era impegnato e portarlo via legato in ospedale a Kathmandu (le ultime notizie lo danno per fortuna in ripresa, ndr). Quindi la prima fase della spedizione la divido con Abiral Rai, un alpinista nepalese che era al Manaslu anche l’anno scorso, ma con un altro team. È un bravissimo fotografo e pilota droni, oltre che una guida titolata UIAGM, insomma uno dei pochi nepalesi che ha la qualifica di guida in tutto il mondo e non uno dei tanti suoi connazionali che si sono autodichiarati tali… Oltre che con Abiral, mi unisco poi con Alex Txikon, l’alpinista spagnolo con il quale ho tentato il Manaslu nel 2020 e che arriverà al nostro campo base dopo il 21 dicembre. Non so ancora con chi perché… il difetto di Alex è che lui dice “Sì, ci sono, ci sono” e poi… arrivano in dieci! Mi ha detto che porterà un gruppo, forse una decine di persone ma credo siano tutti trekkers. Mah…, io adesso mi concentro sul fatto che Abiral ed Alex sono i miei due compagni di spedizione. Se poi ci sarà anche… un’allegra brigata… beh, io seguirò i tempi del mio acclimatamento e quelli delle mie gambe e non starò certo ad aspettare chi magari si sarà unito a noi all’ultimo momento! 

Come anticipato, la nostra conversazione con Simone ha avuto luogo nel contesto della presentazione dell'ultimo libro dell'alpinista bergamasco e ambassador "The North Face" negli spazi di Rizzoli Galleria, nel centro di una Milano già vestita per le imminenti festività. Un lavoro a  nostro avviso molto diverso da tutti gli altri libri di Simone ma che - in un certo senso - li riprende e li riassume tutti, con un vero e proprio ritorno alle origini.

SM: Probabilmente sì, perché qui si parte dall’abc, da come tutto è nato. È un libro per ragazzi, nel senso che si tratta di una conversazione che faccio con mio figlio Jonas ed è una conversazione realmente avvenuta nel 2020, ai tempi del primo lockdown. Come tutti, anch’io sono rimasto chiuso in casa e mi sono potuto godere la compagnia di mio figlio come mai era avvenuto prima. Jonas mi ha fatto un sacco di domande, abbiamo parlato e lungo e mi sono reso conto che da parte sua c’era tanta sete di sapere e voglia di ascoltare. Ho cercato di scrivere un libro evitando di fare la predica e nel quale non ci fosse la sindrome dello scontato "Ai miei tempi era tutto bello, adesso invece…”. Ho cercato di ricordarmi cosa mi desse fastidio che gli adulti mi mi dicessero quando ero un bambino. E una di queste era quando mi dicevano: “Questo non si fa, questo no, stai attento”. Quelle cose insomma che lasciano il tempo che trovano. A me sono piaciuti i momenti (e sono stati la maggioranza) in cui mio padre e mia madre mi hanno dato gli strumenti per affrontare il mondo. Non mi hanno mai detto che là fuori c’era il mostro ed era pieno di pericoli. Il mostro c’è sempre stato e c’è ancora ma oggi la soglia d’attenzione è più alta. Per assurdo oggi è più sicuro. Premesso questo, visto che là fuori c’è tutto un mondo… glielo vogliamo far esplorare, ai nostri figli? Oppure ci limitiamo a dare loro solo il telefonino, il tablet, la playstation che permette loro di accontentarsi di simulare lo sport invece di praticarlo, di agitare le braccia nel vuoto invece di giocare davvero a tennis o magari di arrampicare… gesticolando? A me piacerebbe che un ragazzo scoprisse quanto è figo essere protagonista dei propri sogni e non spettatore di un intrattenimento che qualcun altro gli propina.

Prima di lasciare Simone, gli abbiamo chiesto se - in occasione di questa nuova spedizione in un contesto stremo e lontano dagli affetti - sia oggi difficile come sempre lasciarsi alle spalle appunto la famiglia per dedicare diverse settimane al suo inverno himalayano e... inumano, o se oggi sia meno complicato rispetto al passato.

SM: Sai che forse è un… pelino più facile adesso? Quando i figli sono piccoli, i genitori sono veramente l’alimento quotidiano di cui - privandosene - si patisce… la fame. Oggi la mia genitorialità è cambiata nel suo modo di manifestarsi. Jonas (che frequenta la prima media, ndr) ha sempre tanto bisogno del suo papà e della sua mamma, però sta entrando nella fase della ricerca della sua indipendenza. Recentemente è tornato a casa con un suo amico, episodio che ho letto come un primo importante segnale in questo senso. Quindi stavolta sono un po’ meno preoccupato di quanto acuta possa essere la sua sofferenza. Quando l’ho salutato prima di partire per il Nepal, l’ultima volta che ci vedevamo in questo 2021, beh… diciamo che è stato un po’ meno doloroso del solito e di questo sono felice!”

 

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