ALPINISMO

Missione "Ottava Meraviglia" per Simone Moro: in stile alpino sul  Manaslu 

Seconda parte della nostra intervista milanese all'alpinista bergamasco, ora in partenza per il suo terzo tentativo invernale sull'ottava vetta del pianeta.

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Sono ore di preparativi febbrili, di messa a punto degli ultimi dettagli e di "spunta" del materiale alpinistico quelle che separano Simone Moro dal decollo l'ultimo giorno dell'anno da Milano Malpensa con destinazione Kathmandu, ai piedi della catena dell'Himalaya. Dalla capitale del Nepal - sbrigate le ultime formalità - partirà il trekking che porterà l'alpinista bergamasco ed i suoi compagni di spedizione al campo base del Manaslu.

Si tratterà di un campo base di dimensioni davvero ridotte, rispetto... all'affollamento del K2, la cui prima ascensione invernale (l'ultima rimasta da fare su un "ottomila") rappresenta la missione di una settantina di alpinisti già impegnati sui fianchi della seconda montagna del pianeta. Che è poi la ragione principale della scelta di smarcarsi, della quale Simone ci aveva parlato nella prima parte della nostra intervista. Novità degli ultimi giorni (diffusa da Simone via social) alla spedizione italo-basca si è aggiunta quella nepalese formata dai due alpinisti sherpa Tenji Sherpa e Vinayak Jay Malla che tenteranno (in stile alpino) la via normale del Manaslu - che si sviluppa sul versante nord-est della montagna - ed ai quali Simone... recapiterà una parte dell'equipaggiamento alpinistico.

Quella che Moro, Txikon ed Alvarez si apprestano ad intraprendere sugli 8163 metri della "Montagna dello Spirito" non è quindi una prima invernale assoluta (messa invece a segno sul Manaslu dai polacchi Maciej Berbeka e Ryszard Gajewski nel gennaio del 1984) ma una impegnativa ripetizione. Per Simone in particolare, in caso di successo, si tratterebbe del quinto "ottomila invernale" (del secondo per Txikon dopo il Nanga Parbat proprio con Moro, nel 2016), a rafforzare un primato assoluto che in realtà già gli appartiene grazie alla collezione composta da Shisha Pangma, Makalu, Gasherbrum II e Nanga Parbat appunto, realizzata tra il 2005 ed il 2016. In attesa intanto dei primi aggiornamenti "on site" (Simone ce li ha promessi a margine della nostra intervista ai Garmin Beat Yesterday Awards di metà dicembre a Milano e dà comunque appuntamento su instagram e facebook), riprendiamo il filo di un discorso che, partendo dall'attualità, guarda già molto avanti, lasciando intravvedere un'ipotesi di progetto per il futuro ed una visione generale che va ancora oltre, segnalando stima ed attenzione per altri alpinisti di punta del nostro Paese. Rendendo per finire omaggio ad un collega scomparso nel corso di questo 2020. 

Un anno fa di questi tempi ti avevo chiesto quali fossero state secondo te le realizzazioni più importanti del 2019. Nel 2020… non ce ne sono state, però il tuo progetto di andare sul Manaslu e poi di collegarlo - questa sì una prima assoluta - al Pinnacolo Est (con i suoi 7992 il “settemila” più alto della Terra) indica una via possibile per l’alpinismo del futuro: non più, o meglio non solo gli “ottomila”, ma anche montagne appena meno elevate però altrettanto impegnative, a volte anche di più dei "giganti" per antonomasia.

Sono d’accordo con te nel dire che adesso bisogna guardare al post prime invernali sugli “ottomila” ed il sistema per tenere aperti i giochi non è certo quello di cambiare le regole dell’inverno: che è poi quello che qualcuno sta tentando di fare affinché il Broad Peak e il Gasherbrum I - essendo stati saliti il 4 e il 9 marzo rispettivamente - vengano... invalidati per riaprire un po’ la corsa. Tra l’altro questi due “ottomila”, quando sono stati saliti in prima invernale, hanno entrambi annoverato una tragedia: sono morte delle persone nel tentativo di scalare Broad Peak e Gasherbrum I d’inverno a causa del freddo, a causa delle condizioni severe dell’inverno e quindi mi sembra anche poco rispettoso. Io voglio solo dare una mano, visto che sono ormai... giurassico nella mia età anagrafica, se considerata in relazione ad uno sport attivo. Perché a cinquantatré anni dovrei essere in teoria sul sofà a vedere cosa combinano quelli che hanno raccolto l’eredità che magari anch'io ho contribuito a lasciare. Non è così, mi sento ancora parte attiva, non patetica. Io vedo ovviamente il nuovo che avanza: è lì da vedere e lo vedo che però... fa fatica, e non fa meno fatica di me ed questa è la ragione per cui sono ancora in pista! Perché il giorno che mi accorgo di non riuscire più a stare dietro agli altri è giusto lasciare il passo. Quando vedo che gli altri stanno dietro vuol dire che… qualcuno deve farlo il passo.

 

La volontà di fare questo “settemila” (l’East Pinnacle di cui sopra, “anticima” del Manaslu, ndr), vediamo poi se riusciamo, è legata alla voglia di cominciare a lanciare questi messaggi: è per far capire che il futuro deve avere un’evoluzione, non deve essere la brutta copia di ciò che c’è già stato ed i “settemila” potrebbero essere decisamente una nuova arena. Oppure gli “ottomila” in stile alpino in inverno. Non è mai stato fatto un “ottomila” in stile alpino in inverno: arrivare e andare su subito, senza neanche toccare la montagna. C’è stato qualche timido tentativo ma niente di più. Oppure ancora aprire vie nuove e magari anche in questo caso in stile alpino, fare i “settemila” invernali, fare i concatenamenti nella stagione fredda. Quando io sono andato al Gasherbrum I e II con Tamara ad inizio 2020 volevo appunto provare a realizzarne il primo concatenamento invernale.

Non essendoci state negli ultimi dodici mesi realizzazioni di livello assoluto, quali possono essere i grandi protagonisti di quelle che verranno tentate in futuro, magari tra quelli che tu hai allevato o accompagnato, come già avvenuto  con Tamara?

Il nuovo che avanza… Io ti faccio tre nomi italiani, i primi tre che mi vengono in mente. Il figlio di Reinhold Messer: Simon Messner. È mooolto forte (Simone sottolinea il “molto”, ndr) e non è escluso che magari sia lui la persona con al quale farò le mie ultime “cose” alpinistiche, gli ultimi progetti. François Cazzanelli è anche lui molto forte. E poi Simon Gietl, un altro altoatesino. Dico questi tre nomi sapendo di ometterne altri. Mi verranno poi in mente e mi mangerò la lingua, però… Per non fare una lunga lista ho detto due altoatesini (Messner e Gietl) ed un valdostano, i primi che mi vengono in mente. Aggiungo Matteo Della Bordella (attuale presidente dei “Ragni” di Lecco, ndr) che fa un alpinismo non d’altissima quota, seppur virtuoso e molto esplorativo. Ecco, ne ho aggiunto un altro. Così geograficamente ho coperto l'intero arco alpino.

A proposito dei “Ragni”, tu conoscevi Matteo Bernasconi, scomparso la scorsa primavera sotto una valanga  nel Canale della Malgina al Pizzo del Diavolo, sulle Orobie Valtellinesi? Hai un tuo ricordo particolare?

Sì sì, lo conoscevo. Era una persona autentica, ben lontana dal… narrare e più incline al fare. Era… uno in gamba, faceva parte dei “Ragni” di Lecco, appunto. Era forte sia su roccia che su ghiaccio e “misto”. Il buon Dio tante volte si prende i migliori. Probabilmente i “rompiscatole” li lascia qui. Quindi magari il motivo per cui continuo ad essere un rompiscatole è per posticipare il passaggio a miglior vita. Persone come Matteo “trascinano” senza fare troppo chiasso ed il fatto che siamo qui a parlarne, seppure non sia un nome così noto (al grande pubblico, agli addetti ai lavori lo era) è la prova provata che tante volte non serve fare molto rumore per essere persone che riescono a creare una comunità che poi (e qui torno alla tua domanda precedente) genera coloro che saranno i protagonisti del futuro.

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