La sua recente spedizione in Asia e l'emergenza climatica sulle Alpi nella nostra intervista con l'alpinista valdostano di chiare origini brianzole
di Stefano Gatti© Ettore Zorzini
Abbiamo lasciato sedimentare per un mese i ricordi e le emozioni della nuova via aperta a fine luglio sulla parete granitica dell'Uli Biaho Spire (nel gruppo delle Trango Towers) prima di chiedere a Francesco Ratti di raccontarci scena e retroscena della performance da lui affrontata e portata a termine insieme ai colleghi Alessandro Baù e Leonardo Gheza sulla guglia che svetta a 5600 metri di quota nel Karakorum pakistano. Non potevamo però lasciarci sfuggire l'occasione di chiedere a Francesco - Guida Alpina del Cervino - un parere competente sulla "chiusura" estiva della Gran Becca e - più ad ampio raggio - sulla difficile purtroppo anche tragica estate sull'arco alpino, soprattutto a causa delle temperature dei mesi scorsi, fuori scala pure ad alta quota.
© Ettore Zorzini
Prendiamola però alla lontana o - per meglio dire - partiamo da lontano: dal Pakistan e dalla spedizione nel gruppo delle Trango Towers (massima elevazione i 6286 metri della Grande Torre di Trango) che Francesco - alpinista ed atleta Millet - ha condiviso per risultati, fatica, e soddisfazioni ed emozioni con l'alpinista padovano Alessandro Baù e con quello bresciano Leonardo Gheza, la cui performance è stata passo dopo passo (anzi tiro dopo tiro) documentata dal fotografo Ettore Zorzini, autore di buona parte (anzi, ottima!) delle immagini che illustrano la nostra intervista.
SM: Francesco, l'impressione che abbiamo avuto seguendo la recente stagione di scalate sulle montagne più alte del pianeta - nelle catene del Karakorum e dell'Himalaya - è stata quella che la vostra spedizione nel Karakorum pakistano abbia avuto meno... visibilità di quella che ha impegnato le Guide Alpine valdostane (alla quale tu stesso appartieni), che in alcune sue fasi si è svolta a poche decine di chilometri di distanza in linea d'aria dalla vostra. Credo sia quindi opportuno che tu ci spieghi la differenza tra i due progetti, a livello di contesto e di contenuto.
FR: Sono state due spedizioni diverse: loro hanno salito tre ottomila (Nanga Parbat, Broad Peak e K2, ndr) noi abbiamo aperto una nuova via su una parete inesplorata, su terreno più tecnico ed a quote più basse. Il periodo invece è stato lo stesso: d’altra parte la stagione di scalate da quelle parti non lascia molte alternative. Nel Karakorum in particolare le condizioni più stabili si trovano nella seconda metà di luglio e poi fino alla metà di agosto. Noi ci trovavamo all’inizio del Baltoro, il ghiacciaio che si estende fino alla base del K2. Dalla vetta della torre sulla quale abbiamo aperto la nostra via il K2 stesso non si vedeva, ma da quella della torre a fianco sì!
© Ettore Zorzini
Quando si pensa ai giganti dell’Himalaya oppure del Karakorum stesso si pensa a grandi distese di ghiaccio ed a montagne coperte di neve. Noi invece ci siamo mossi su grandi pareti di granito tra cinque e seimila metri, terreno abbastanza atipico laggiù. Lì si può scalare su roccia fino a quote elevate ed è uno dei pochi posti che conosco dove si possono trovare quelle difficoltà a quella quota. Questo comporta da un lato un altissimo livello di preparazione tecnica nell’arrampicata, dall’altro sapersi gestire in termini di acclimatamento e di capacità alpinistiche. Perché poi quello che normalmente “passa” in termini di immagini e di descrizione è la via vera e propria ma per arrivare all’attacco della parete bisogna mettere in conto difficoltà alpinistiche tipiche dell’altissima quota. L’avvicinamento infatti è stato piuttosto impegnativo. Noi per arrivare all’attacco della via abbiamo dovuto superare pendii ghiacciati e sezioni di misto non esattamente banali, valutando dove passare per limitare al massimo i pericoli oggettivi di valanghe e scariche. Una volta alla base della parete poi, bisogna salire e solo a questo punto il focus diventa la difficoltà tecnica della scalata. Per intenderci, uno scalatore sportivo non potrebbe neanche arrivarci, alla parete della nostra via!
© Ettore Zorzini
SM: Non possiamo non chiederti l'origine di "Refrigerator Off-Width", il nome che avete dato alla nuova via aperta tra venerdì 22 e domenica 24 luglio sulla "vostra" guglia...
FR: Refrigerator Off-Width - è una… storpiatura dall’inglese. Refrigerator per via del freddo che usciva dalla fessura off-width lungo la quale siamo saliti, dove off-width è un termine tecnico che indica una fessura più larga di quelle classiche nelle quali entra una mano chiusa a pugno. Da quella fessura usciva una corrente di aria gelida che ci costringeva ad arrampicare imbacuccati come se ci trovassimo ad una quota molto più elevata. Salendo non ci abbiamo fatto caso più di tanto, perché eravamo concentrati sulle difficoltà della scalata. Ce ne siamo accorti invece soprattutto in discesa perché - facendo le doppie leggermente sfalsati e fuori dalla fessura - quando eravamo qualche metro lontano dalla parete si stava bene senza giacca, ma appena ci avvicinavamo era necessario coprirsi. Quell’aria gelida ci ha fatto soffrire!
© Ettore Zorzini
SM: Veniamo ai tuoi compagni di spedizione, Alessandro Baù e Leonardo Gheza. Perché proprio loro? Quali precedenti avevate insieme e soprattutto come vi siete trovati o ritrovati?
FR: Tutti e tre insieme non avevamo mai scalato ma io conoscevo già entrambi. Con Leo siamo stati l’anno scorso in spedizione insieme nella Valle del Khumbu, in Nepal e sul Tengkangpoche: anche lì avevamo aperto una via nuova. Alessandro lo conosco invece fin dai tempi dei corsi da guida che abbiamo fatto nello stesso periodo. Abbiamo scalato insieme già sette anni fa in Patagonia, nel 2015. Non ci vedevamo più forse da un paio d’anni perché - essendo di Padova - lui lavora spesso sulle Dolomiti. Però siamo sempre rimasti in contatto ed aggiornati sulle rispettive attività. Quando gli ho parlato del progetto Trango Towers lui si è subito mostrato interessato e da lì è partito tutto.
© Ettore Zorzini
SM: Osservando il prospetto della via, si nota nella parte alta della parete una deviazione dall'itinerario più verticale ed apparentemente logico. Ce ne puoi spiegare la ragione?
FR: Visto da sotto, il diedro lungo il quale si sviluppa la nostra via sale dritto e molto evidente in pratica fino all’uscita in vetta. Da quello però ad un certo punto della parete se ne stacca un altro, anch’esso piuttosto evidente: una linea di fessura che va verso sinistra. In realtà, quando abbiamo attaccato la via non sapevamo bene neanche noi dove saremmo usciti. Certo, la linea che sale dritto per dritto è più bella, esteticamente preferibile.
© Ettore Zorzini
Il problema è stato che - una volta raggiunto il luogo del nostro bivacco in parete - ci siamo resi conto che a livello tecnico le difficoltà lungo tutta una serie di camini aumentavano parecchio. Il diedro si allargava sempre di più e diventava via via più difficile proteggerci con il materiale da arrampicata che avevamo con noi. La linea di fessure che si apriva a sinistra invece era più abbordabile e ci permetteva di muoverci in sicurezza, di fatto dandoci la possibilità di arrivare in vetta. Insistendo sulla verticale non so se ce l’avremmo fatta: le nostre chances sarebbero state molto più ridotte.
© Ettore Zorzini
SM: Al di là della via sull'Uli Biaho Spire, che ne ha indubbiamente rappresentato il coronamento, come si è svolto e quali altri obiettivi ha centrato il vostro progetto sulle Trango Towers?
FR: Refrigerator Off-Width è stata l’unica via nuova della nostra spedizione ma non il suo culmine, in ordine cronologico. Prima abbiamo fatto un tentativo sulla mitica via “Eternal Flame”, aperta nel 1989 sulla Nameless Tower. Siamo giusto andati a dare un’occhiata durante il periodo di acclimatamento. Il meteo era incerto, siamo saliti fino a cinque tiri dalla fine della via ma ci siamo trovati in mezzo ad una bufera di neve e siamo scesi. Dopo l’apertura di Refrigerator però ci rimaneva qualche giorno e la finestra di bel tempo continuava. Leo ha preferito fare qualche volo con il parapendio ma Alessandro ed io a toccare la vetta della Trango Tower (conosciuta appunto anche come Nameless, ndr) tenevamo molto. Allora abbiamo saltato i primi tiri di Eternal Flame, che avevamo già fatto, ed abbiamo raggiunto il punto dove ci eravamo fermati, salendo lungo la Via Slovena del 1987, che corre parallela. Solo a quel punto ci siamo spostati su Eternal Flame e l’abbiamo completata uscendo in vetta.
© Ettore Zorzini
È stata l’ultima scalata della nostra spedizione e per me una grande soddisfazione. Ti racconto un aneddoto: siamo arrivati in vetta alle sette di sera ed alle cinque del mattino avremmo dovuto lasciare il campo base. Lo abbiamo raggiunto solo alle due di notte, perché la discesa è stata lunga… Abbiamo riposato un paio d’ore, poi abbiamo ripiegato le tende, fatto i bagagli e siamo tornati a casa. Abbiamo sfruttato al cento per cento il tempo a nostra disposizione!
© Ettore Zorzini
SM: Lasciamo il Karakorum per tornare sulle Alpi. Tu sei brianzolo di nascita ma valdostano d'adozione ormai e soprattutto fai parte della Società delle Guide del Cervino. La Gran Becca è tuttora chiusa sul versante italiano per via del rischio frane, a sua volta legato alle alte temperature di questa estate, che hanno reso il Cervino di fatto "impraticabile" per via della sua instabilità: condizioni tra l'altro comuni all'intero arco alpino. Non possiamo dimenticare la tragedia di inizio luglio sulla Marmolada. Qual è ora - negli ultimi giorni di agosto - la situazione?
FR: Il Cervino è ancora chiuso sul versante italiano per via delle frequenti scariche di sassi, legate alle alte temperature. Noi Guide del Cervino puntiamo a tornare ad accompagnarvi i clienti in tempi brevi, forse ai primi di settembre, quando la montagna sarà più stabile. In realtà già intorno a Ferragosto la situazione è molto migliorata, rispetto al mese di luglio ed all’inizio di agosto. Monitoriamo quotidianamente la situazione: non c’è più tutta questa attività di frana ma… noi preferiamo aspettare ancora.
È difficile comunque dire quanto incida sul mio lavoro l’impraticabilità del Cervino dal versante del Breuil. Per quanto riguarda me e la mia clientela, direi in una percentuale piuttosto ridotta. Se un cliente ama davvero la montagna e gli proponi una valida alternativa al Cervino, ci sono buone probabilità che la prenda in considerazione e la accetti. Poi certo, c’è un venti per cento di clienti che hanno… il pallino del Cervino (e solo del Cervino!) ed allora ti senti facilmente rispondere: non mi interessa, aspetto l’anno prossimo. Oppure puoi proporre l’alternativa dalla Svizzera, perché la cresta dell’Hörnli - via normale elvetica - è quasi sempre rimasta aperta. Le guide di Zermatt hanno scelto di chiuderla solo per un periodo di tempo limitato rispetto a noi: avranno fatto le loro valutazioni e l’avranno in seguito ritenuta sicura. D’altra parte quel versante è molto meno esposto alle scariche rispetto a quello italiano: è stato salito per tutta l’estate da una media di una ventina di cordate al giorno.
© Marco Spataro
Personalmente non amo salire dalla Svizzera, preferisco di gran lunga il versante italiano, anche se dobbiamo stare molto più attenti dei nostri colleghi elvetici, soprattutto all’inizio della via normale che si sviluppa lungo la Cresta del Leone, in particolare quando si passa alla base della Testa del Leone, che è particolarmente insidiosa per quanto riguarda le scariche di sassi. D’altra parte, la salita al Cervino è una classica estiva che di solito si fa "tranquillamente" fino alla metà o alla fine di settembre: in pratica fino alle prime nevicate autunnali. Dipende molto dall’andamento delle stagioni. In occasione di qualche autunno particolarmente secco e con alta pressione stabile siamo andati avanti a farla fino ad ottobre inoltrato, alla metà del mese o addirittura fino alla fine della seconda decade.
SM: Nella nostra conversazione siamo partiti dalla spedizione dei mesi di giugno e luglio in Pakistan, siamo passati ai rischi connessi al riscaldamento globale sulle montagne e - "salendo" sul Cervino - siamo arrivati a parlare di ascensioni possibili anche ad autunno inoltrato. Eccoci quindi approdati... alle porte dell'inverno, stagione che ti vede regolarmente impegnato ad altissimo livello: sia qui sulle Alpi (spesso proprio sul Cervino!), sia in ambito extraeuropeo. Non mi resta che salutarti chiedendoti se hai già fissato tua prossima... missione!
FR: Ho già qualcosa in mente ma per ora è solo un’idea o poco più, però devo ammettere che il prossimo inverno mi piacerebbe davvero tornare in Patagonia. Diciamo che in questo momento siamo in fase di programmazione!
© Ettore Zorzini