ALPINISMO E SPORT OUTDOOR

Cala Cimenti, parla la moglie Erika Siffredi: “Porto avanti i suoi progetti, all’insegna di sport e cultura”  

Il “Leopardo delle nevi” piemontese verrà ricordato il prossimo weekend con un evento multitasking all’insegna di sport, solidarietà e festa.

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Mountain Bike, corsa, bouldering e parapendio: una sorta di mini-olimpiade alpina, festosa ed assolutamente non competitiva: festosa proprio perché non competitiva. Questo il programma ed il senso ultimo di Cala Festival Race, l’happening organizzato per domenica 14 novembre tra Piossasco e Trana (ai piedi dei primi rilievi alpini ad ovest di Torino) dagli amici di Carlalberto “Cala” Cimenti, l’alpinista (e molto altro ancora) scomparso lo scorso 8 febbraio insieme all’amico Patrick Negro, travolti da una valanga durante un’uscita scialpinistica in Alta Val di Susa.

Abbiamo titolato “festa per Cala” ma è più corretto dire “festa CON Cala”. Perché è questo l’intento con il quale le persone che gli hanno voluto bene e ne hanno seguito le imprese (per poi appunto festeggiarle insieme) hanno proposto l’idea di questo speciale “tetrathlon” outdoor ad Erika Siffredi, la moglie di “Cala”, alla quale ci siamo rivolti con l’intento di dare risalto all’evento stesso, far girare la voce ed in un certo senso invitare chi lo ha conosciuto (di persona ma anche solo leggendone le performances sportive) a ritrovarne lo spirito leggero tra coloro che hanno incrociato il suo sguardo, stretto la sua mano, appoggiato e sostenuto i suoi progetti, goduto della sua presenza e… molto più di tutto questo: come è successo ad Erika.

 

“Dopo l’incidente ho avuto un crollo totale. Poi un amico mi ha detto: ‘Non può finire così, dobbiamo ripartire da qualche parte’. Avevamo già iniziato una raccolta fondi per il progetto ‘Sdraiato in cima al mondo’ per la ricostruzione di una scuola che era stata distrutta dal terremoto del 2015 (quella primaria di Shree Pattale, ndr) che poi sono diventate due. Eravamo già in ballo, insomma. Cala era sempre uno ‘preso bene’, aveva sempre voglia di fare. Poi una sera mi ha chiamato Carletto, un suo caro amico, uno che come lui fa parapendio. Era marzo, poco dopo l’incidente (nella nostra conversazione Erika ne parla sempre in questi termini, ndr) e mi ha detto che avevano intenzione di organizzare una festa… Ma come una festa, ho detto io? Sì, una festa di sport. Dobbiamo radunare tutti, fare una staffetta, oppure gare singole, tirando dentro più discipline possibile, perché Cala faceva tutto”.

 

Ecco quindi l’idea di riunire in un solo evento quattro delle numerose discipline sportive alle quali “Cala” si è dedicato nei suoi "multiformi" quarantasei anni di vita (li avrebbe compiuti solo sei giorni dopo l’incidente, il giorno di San Valentino). Quattro appunto, non tutte. Ma attenzione, le buone idee ne generano altrettante, in un meccanismo virtuoso ma non forzoso. Di nuovo la parola ad Erika.

“La nostra volontà è quella di fare questo lancio iniziale, con la sua edizione outdoor “estiva”. Per poi, dovesse andare bene l’esperimento, rilanciarne una versione invernale. Lui era uno sciatore e quindi l’idea è quella di portare avanti questi macroeventi - prima della neve e poi sulla neve - composti di prove assolutamente non competitive, perché il fine ultimo è proprio quello di fare festa. Naturalmente proseguendo la raccolta fondi per il progetto di Cala in Nepal, il Paese dove lui mi aveva chiesto di sposarci, quello che lui considerava la sua seconda casa. E visto che proprio lì abbiamo iniziato a fare qualcosa insieme, è proprio in Nepal che si trovano le due scuole del progetto attuale. Nulla vieta però di vararne altri dove ci sarà bisogno, mantenendo sempre il filo conduttore dell’istruzione, legata magari allo sport. Io sono laureata in legge, mio marito era laureato in lettere: cultura e sport per noi sono sempre andate di pari passo. D’altra parte, se sto ferma crollo. Quindi ho deciso che… ferma non ci sto. Finché trovo persone che mi appoggiano, io ci provo e vado avanti”.

 

Sport, cultura e - ci permettiamo di aggiungere - memoria e soprattutto riconoscenza per “Cala”, autore nel 2010 della salita in solitaria dell'Ama Dablam (6812 metri, il cosiddetto "Cervino dell'Himalaya") e poi primo italiano ad aggiudicarsi il prestigioso premio “Snow Leopard” (Leopardo delle Nevi) riservato agli alpinisti capaci di toccare le cinque vette da settemila metri dell’ex Unione Sovietica. E poi ancora lo scialpinista in grado di scalare (primavera del 2018) la straordinaria “lancia” di roccia e ghiaccio del Laila Peak (m. 6096) in Pakistan per realizzarne la seconda discesa integrale con gli sci. Ripetendo… la difficilissima performance non più tardi di due anni fa al Nanga Parbat, con gli 8125 metri della sua vetta il nono dei quattordici “ottomila” del pianeta nonché uno dei più difficili, scendendo nuovamente con gli sci ai piedi. Senza dimenticare la missione di soccorso al compagno di spedizione Francesco Cassardo, portata a termine con successo (e con la collaborazione di Denis Urubko e Don Bowie) subito dopo aver realizzato la prima ascensione (in stile alpino: pulito e leggero) del Gasherbrum VII (metri 6955), ed averlo ancora una volta ridisceso sci ai piedi!

 

Gli orizzonti sconfinati dei quali “Cala” ha goduto sulle montagne più alte del pianeta, subito prima di lanciarsi nella discesa, non devono però "distrarci" e farci perdere di vista la sua grandezza semplice e più ancora il coraggio dei suoi amici e soprattutto quello di Erika nel portare avanti i suoi progetti più duraturi, quelli che non si esauriscono al termine di un pendio innevato. E se possibile metterne di nuovi in cantiere: nella scia (il termine non è casuale) dei sogni di "Cala". 

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