L'ANNIVERSARIO

Il silenzio in fondo al rettilineo: vent'anni fa l'incidente di Michele Alboreto al Lausitzring

Sono trascorsi due interi decenni dalla scomparsa del campione della Ferrari nel corso di un test sul circuito tedesco con l'Audi Sport per Le Mans.

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Il 25 aprile di vent'anni fa perdeva la vita al Lausitzring Michele Alboreto, per cinque anni pilota della Ferrari in Formula Uno e vicecampione del mondo nel 1985. L'incidente fatale avvenne nel corso di un test al volante dell'Audi R8 Sport per la 24 Ore di Le Mans. Nemmeno cinque mesi più tardi un  altro pilota italiano - Alessandro Zanardi - sarebbe rimasto vittima al Lausitzring del gravissimo incidente che ne ha cambiato per sempre la vita.

Lausitzring: undici lettere "ostiche" ed un suono sinistro per l'automobilismo italiano. L'estate al cui termine Zanardi avrebbe perso entrambi gli arti inferiori nel finale della German 500 CART era ancora lontana all'orizzonte quando quello di Michele Alboreto si chiuse per sempre alla vista dell'allora 44enne campione milanese (era nato il 23 dicembre del 1956).  L'ex pilota di Formula Uno, tornato alle gare di durata (che aveva già frequentato ad inizio carriera nelle fila del team ufficiale Lancia nel Mondiale Endurance)  dopo quattordici stagioni nei Gran Premi iridati, stava mettendo alla frusta l'Audi R8 lungo uno dei lunghissimi rettifili del layout test dell'EuroSpeedway Lausitzring, adiacente all'anello che - di lì a poche settimane, appunto - avrebbe ospitato la prima delle due tappe (quella successiva a Rockingham, Inghilterra) del tour europeo del campionato CART, l'attuale Indycar.

All'origine dello schianto - come appurato dalla successiva inchiesta - la foratura progressiva dello pneumatico posteriore sinistro il cui cedimento finale innescò la carambola che portò il prototipo tedesco a colpire le barriere a bordo pista, oltrepassarle e capovolgersi sull'altro lato. I soccorsi (ambulanza ed elicottero) raggiunsero la scena dell'incidente ed il relitto dell'Audi in tempi brevi ma per Michele non c'era più nulla da fare.

Campione europeo di Formula 3 nel 1980, Alboreto aveva mosso i primissimi passi della sua carriera in Formula Monza, sul circuito di casa, ed era entrato nell'orbita del Gruppo FIAT guidando come detto le Lancia ufficiali nel Mondiale Endurance, già proiettato però verso la Formula Uno. Nella quale fece il suo esordio al Gran Premio di San Marino del 3 maggio 1981 (quarant'anni fa, tra pochi giorni) di Imola, al volante della Tyrrell. Da quel giorno Michele avrebbe corso stabilmente in Formula Uno, concludendo la sua carriera al Gran Premio d'Australia, tappa finale del  Mondale del 1994. Simbolicamente però, si può affermare che sia stata Imola (oltretutto il più recente GP del Mondiale in corso e - nel 2001 - l'ultimo prima dell'incidente del Lausitzring) ad aprire e chiudere la carriera di Alboreto in F.1. Visto che - già detto dell'esordio in riva al Santerno dell'81 - nello stesso 1994 Michele era stato suo malgrado protagonista dell'ultimo della lunga serie di incidenti che avevano funestato il tragico weekend di Imola del 1. maggio. Avvenne quando - in uscita da un pit stop - la sua Minardi perse una ruota che - carambolando - provocò il ferimento di tre meccanici di Ferrari, Lotus e Benetton.

Approdato in Formula Uno grazie al suo talento ed all'appoggio del Conte Gughi Zanon di Valgiurata (che ha sostenuto le fasi iniziali della carriera di molti altri campioni, tra i quali Ronnie Peterson) Michele aveva proprio nel campione svedese scomparso nel 1978 a Monza uno dei suoi idoli sportivi, tanto da adottarne i colori blu e giallo del casco. Che, dotato in certe versioni di una visiera (gialla), evocava ancora di più il riferimento diretto a Ronnie.

Michele quel casco (oggi si direbbe "iconico") lo portava anche nei suoi anni da pilota Ferrari: un intero lustro, dal 1984 al 1988, preceduto da due stagioni con la Tyrrell, impreziosite da due vittorie, entrambe negli USA: la sua prima in assoluto al GP di Las Vegas del 1982, la seconda in quello di Detroit della stagione seguente. Al volante della Rossa (ottanta GP in totale, tutti portando in gara il mitico "27" appartenuto a Gilles Villeneuve ed in seguito ereditato da Ayrton Senna), il "nostro" avrebbe colto altre tre affermazioni: al GP del Belgio del 1984 di Zolder ed in quelli del Canada e di Germania del 1985. A Montreal aprendo la doppietta Ferrari completata da Stefan Johansson, al Nuerburgring precedendo sul traguardo Alain Prost, nel pieno della sfida per il titolo con il francese della McLaren che però da quella domenica d'inizio agosto in avanti avrebbe avuto vita facile, "grazie" anche all'involuzione tecnica della 156-85 di Maranello che - proprio nella fase decisiva del Mondiale - non sarebbe più stata all'altezza della rivale britannica, in termini di performance e soprattutto di affidabilità.

Michele avrebbe poi proseguito e terminato la sua avventura ferrarista con il nono, il settimo ed il quinto posto finale dal 1986 al 1988. Senza più rimettere piede sul gradino più alto del podio ma - tra l'altro - completando la doppietta rossa nel GP d'Italia del 1988, il primo dopo la scomparsa di Enzo Ferrari. A vincere fu Gerhard Berger e si trattò del solo GP sfuggito quell'anno alle (per il resto della stagione, appunto) imbattibili McLaren-Honda di Senna e Prost.

Alboreto è stato uno dei ventisei piloti italiani (su di un totale di 79, Carlos Sainz Jr. compreso) a guidare in gara le Ferrari di Formula Uno e l'ultimo degli otto di loro capaci di vincere un GP: tre, appunto. Secondo in questo solo all'inarrivabile Alberto Ascari (anche lui milanese, tredici successi), ma davanti a Piero Taruffi, Nino Farina, Luigi Musso, Giancarlo Baghetti, Lorenzo Bandini e Ludovico Scarfiotti: tutti con una vittoria a testa. 

Chiusa l'esperienza a Maranello, Michele proseguì la sua carriera in F.1 con un secondo passaggio alla Tyrrell nel 1989, nel corso del quale colse un inatteso e quindi strepitoso terzo posto nel GP del Messico (23esimo ed ultimo podio in carriera) alle spalle di Ayrton Senna e Riccardo Patrese con le ben più competitive McLaren-Honda e Williams-Renault. Venne però sostituito a metà stagione per una questione di sponsor dal debuttante Jean Alesi che ne avrebbe in pratica seguito la... traiettoria, facendo lui pure il salto dal team britannico alla Ferrari.

Dopo altre esperienze prive di acuti con Larrousse, Arrows, Footwork, Scuderia Italia e Minardi - per un totale di 194 GP disputati in carriera - Michele avrebbe indirizzato la seconda parte della sua avventura agonistica (che comprende anche la 500 Miglia di Indianapolis del 1996) verso l'eclettismo e le ruote coperte, in particolare le gare di durata. Nel 1997 arrivò il successo nella 24 Ore di Le Mans con la TWR-Porsche, insieme all'ex compagno di squadra Ferrari Johansson ed al danese Tom Kristensen, recordman di vittorie - nove - nella classica di durata francese. La sua ultima affermazione Alboreto andò a prendersela oltreatlantico nella 12 Ore di Sebring con la R8 di Audi Sport North America (in equipaggio con Rinaldo Capello e Laurent Aiello). Era il 17 marzo 2001. Vale a dire poco più di un mese prima che l'orizzonte si chiudesse davanti ai suoi occhi nella solitudine di una giornata di test sul famigerato Lausitzring: quelle undici lettere ostiche, dal suono sinistro. E l'orizzonte che si chiude per sempre.

Si può solo immaginare la R8 che si stacca da terra ed il motore che ruggisce a vuoto. Appena prima del silenzio più completo e perfetto.

Grazie, Michele. Per i ricordi e le emozioni.  Di ieri e di oggi.

 

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