Da Garcia a Pioli passando per Inzaghi e Allegri: cosa non ripetere per non commettere altri errori
di Bruno Longhi© sportmediaset
Come dare torto a quel genio di Arrigo Sacchi, quando snocciolava gli ingredienti necessari per trasformare una squadra normale in una grande squadra. Parlava di occ (occhio), pazienza e bùs da c…, dal romagnolo fortuna. Ma non trascurava nemmeno l’umiltè, forse e quasi sicuramente la dote di cui oggi molti allenatori e molte squadre avrebbero bisogno.
Per primo Rudi Garcia, che è arrivato a interpretare il dopo-Spalletti con la comprensibile presunzione di volerci mettere del suo, per non fare il classico copia e incolla. Ma la storia calcistica -sempre foriera di suggerimenti a scoppio talvolta ritardati - dovrebbe avergli insegnato che prima di rompere il giocattolo vincente avrebbe dovuto verificarne la funzionalità mantenendo invariati i meccanismi. Lo stesso errore lo commise all’Inter Rafa Benitez, che si tirò contro lo spogliatoio reduce dal Triplete e dall’amore sviscerato per Mourinho, quando tra le mura di Appiano Gentile disse ai senatori che anche con lui avrebbero vinto, ma giocando bene. L’errore, anche e soprattutto per mancanza di tempo e programmazione, non lo commise la Juventus quando il 16 luglio del 2014, ingaggiò in fretta e furia Max Allegri, due giorni dopo l’addio traumatico di Antonio Conte. Ricordo che quel giorno mi trovavo negli studi di Mediaset per commentare l’evento e rispondendo a una domanda dell’allora direttore di Tuttosport, Vittorio Oreggia, ebbi la fortunata intuizione di affermare che la Juventus aveva avuto sì la sfortuna di perdere un grande allenatore, ma anche la fortuna di averne trovato subito uno altrettanto forte e soprattutto libero contrattualmente.
L’umiltè, la mancanza di essa, ha inciso anche su una delle prime 8 giornate del Milan. Che avrebbero potuto essere archiviate con altrettante vittorie e con l’invidiabile punteggio pieno, se non ci fosse stato il clamoroso rovescio nel derby. Una debacle figlia della certezza di Pioli di poter vendicare attraverso il dominio assoluto della gara le 4 sconfitte consecutive da cui era reduce contro i nerazzurri. Aveva preparato tutto nei minimi dettagli, ma non aveva fatto i conti con le magagne difensive della sua squadra e con la forza dell’avversario. Sono stati più furbi di noi, avrebbe poi dichiarato a fine gara, facendo capire in maniera chiara che accettava, ma con riserva, la superiorità avversaria. Insomma gli era mancata l’umiltè che il Milan avrebbe poi ritrovato nelle successive gare, fino a ritrovarsi oggi al primo posto della classifica.
Non so se valga anche per l’Inter questa stessa considerazione. Se le distrazioni evidenziate contro Sassuolo e Bologna siano da annoverare sotto la stessa voce. Ma il non vincere le partite da vincere quando si è superiori, è sintomo di un malessere la cui recidività può intaccare le certezze anche della squadra più forte del torneo. E’ invece umile e pragmatica la Juve, che ha trovato nelle palle inattive e negli svarioni di Milinkovic-Savic le chiavi per aprire le porte del Torino. La Fiorentina è giocosa e vincente e la Roma ha trovato in Lukaku, (non era difficile prevederlo) il rimedio alle sue difficoltà di espressione di gioco. Sette gare da titolare e altrettanti gol. Insomma tanto per ritornare indietro nel tempo, si potrebbe riproporre in suo onore quello striscione che inneggiava alle prodezze a ripetizione di Maurizio Ganz: “El segna sempre Lu”.