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REAL MADRID

Carletto non si ferma più: l'ennesima impresa di un grandissimo

Un allenatore che ha fatto la storia del calcio è di nuovo protagonista dopo l'eliminazione dei campioni d'Europa in carica

di Andrea Cocchi
13 Apr 2022 - 10:50

Difficile trovare nuove parole o definizioni per uno che ha fatto e sta facendo la storia del calcio. E pensare che tutto questo non sarebbe mai potuto accadere. L'inizio carriera di Ancelotti non è stato dei più semplici. Dopo l'esperienza da secondo di Sacchi in nazionale ha debuttato alla guida della Reggiana in B nel 1995 e ha rischiato l'esonero prima della cavalcata che ha portato i granata in Serie A. Stessa cosa l'anno dopo a Parma. A un passo dal licenziamento ha trascinato i gialloblù a un quasi scudetto, perso per mano della Juve di Lippi. 

Già, la Juve. Due anni e mezzo tormentati, tra contestazioni dei tifosi, due campionati svaniti di poco tra il diluvio di Perugia e la regola degli extracomunitari cambiata in corsa che hanno portato alle stilettate di Nakata e a un addio inevitabile, con il record di punti ma niente da stringere in mano o da mostrare sul petto. Poi è arrivato il Milan, la notte della rivincita di Manchester, due Champions, uno Scudetto e un lungo corollario di coppe da esibire in faccia a chi lo considerava l'eterno secondo. Da lì è partito a conquistare l'Europa. Si è portato a casa il titolo nazionale in Italia, Inghilterra, Francia, Germania e, anche se manca solo l'ufficialità, Spagna. Mai nessuno c'era riuscito e, siamo pronti a scommetterci, nessuno ci riuscirà in futuro. Nel frattempo è diventato l'unico allenatore a vincere tre Champions League, insieme a Bob Paisley, quando ancora si chiamava coppa dei Campioni, e Zinedine Zidane. 

Le ha viste tutte, Carletto. E' partito da integralista tattico schiavo del 4-4-2, è passato a sistemi di gioco più disponibili verso la fantasia del trequartista, si è esaltato con l'albero di Natale (dove i creativi erano addirittura due), ha affrontato e superato tutte le insidie del calcio mondiale. E' ai più alti livelli della panchina da 27 anni. E nessuno ha mai pensato di dargli del bollito. Incapace di sedersi sugli allori, desideroso come nessuno di sfide sempre più complesse, capace come pochi di gestire lo stress, affrontato con una calma solo apparente (chiedere ai suoi giocatori quanto sappia fare paura quando sia arrabbia), si è lasciato convincere da Florentino ed è tornato a Madrid. Cavalcata in Liga, Champions riacciuffata per i capelli con un incredibile approdo in semifinale dopo aver espugnato Stamford Bridge ed essersi fatto espugnare al Bernabeu. Criticato perché l'estetica del calcio espresso quest'anno non è all'altezza dei canoni estetici del madridismo, Ancelotti si è semplicemente adattato ai suoi giocatori, sfruttando la qualità immensa di gente come Modric e Benzema, ancora i migliori nel loro ruolo nonostante l'età, di giovani come Vinicius, di elementi tatticamente superiori come Casemiro e Valverde e di tutto il corollario di classe messagli a disposizione dalla dirigenza. Giochismo, risultatismo... Parole inutili. Meglio parlare di Ancelottismo, l'unico calcio capace di resistere agli inganni del tempo. 

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