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Accadde oggi: la Roma perde in casa la finale di Coppa dei Campioni

È il 30 maggio 1984: il Liverpool gela l'Olimpico e sconfigge ai rigori i giallorossi, con Falcão che si rifiuta di battere il penalty

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Sono passati 36 anni da un giorno speciale per ogni tifoso della Roma. Un'emozione mai più riprovata dai giallorossi, la finale di Coppa dei Campioni o, con il nome attuale, Champions League. Un appuntamento con la storia, perdipiù fissato in casa: tutti gli occhi del mondo sono sull'Olimpico di Roma, dove il 30 maggio 1984 la squadra di Nils Liedholm si gioca la massima competizione europea contro il Liverpool. Perdendola nel modo più crudele, ai calci di rigore.

L'Europa deve scegliere il suo padrone nel 1984. E le opzioni sono le due più logiche: il calcio inglese dei primi anni Ottanta, con il suo vigore atletico, è senza dubbio quello di maggior successo in campo internazionale, mentre la Serie A - prima con Juventus e Roma, poi con tutte le altre - si sta prendendo lentamente la scena, fino a dominarla per oltre un decennio, attirando i campioni di tutto il mondo. Pochi giorni prima della finale Roma-Liverpool, la Juventus aveva vinto la Coppa delle Coppe ai danni del Porto e il Tottenham si era aggiudicato la Coppa Uefa.

La Capitale non parla d'altro ed è in attesa spasmodica del grande evento. Si percepisce quella tensione emotiva di chi è diviso tra la speranza di continuare la festa-scudetto del 1983 e l'incubo di sbattere all'ultima curva. La prima prevale sulla seconda, il che non vuol dire che il tifoso non abbia paura: il Liverpool è squadra esperta e da un decennio è ai vertici continentali, mentre la Roma ha rischiato di pagare a caro prezzo la sconfitta in Scozia contro il Dundee, ribaltata solo con una grande prova casalinga (3-0). E proprio sulla spinta dell'Olimpico contano il presidente Dino Viola e l'allenatore Liedholm. La Roma, poi, ha individualità importanti, anche superiori quantitativamente a quelle dei Reds: Cerezo, Di Bartolomei, Pruzzo, i campioni del mondo Conti e Graziani, e poi quel Paulo Roberto Falcão che, sulla carta, è nettamente il più forte in campo. Già, sulla carta. Perché in campo l'asso brasiliano non si vede. È in balia della mediana Reds, le cronache del tempo segnalano Ronnie Whelan e Graeme Souness padroni di un centrocampo che di solito era dominato dal numero 5 con i capelli biondi.

Il Liverpool passa in vantaggio con un gol balordo, provocato da un'uscita avventurosa di Tancredi (che forse subisce fallo) e dal rinvio di Bonetti sul portiere: Neal mette dentro a porta vuota. Pruzzo, nonostante fortissimi dolori intestinali (che lo obbligheranno al cambio), poco prima dell'intervallo incorna alla sua maniera per il pareggio, e l'Olimpico torna a sperare. Falcao si trascina per il campo: è messo in piedi da un'iniezione resa necessaria da un infortunio al ginocchio; proprio gli acciacchi non gli permetteranno mai più di tornare ai suoi livelli. Corricchia, tenta di dare geometrie, ma fisicamente non ce la fa più. Che la Roma sia più forte lo dimostra il fatto che arrivi ai rigori praticamente in inferiorità numerica: segna capitan Di Bartolomei (che esattamente dieci anni più tardi si suiciderà sparandosi un colpo di pistola al petto), ma sbagliano Conti e Graziani, mentre il Liverpool fa quattro su cinque e vince la coppa. Falcão guarda a distanza: aveva detto a Liedholm che non avrebbe tirato. Per colpa dei crampi e dell'infortunio, si difenderà negli anni. Mentre i tifosi piangono per un titolo mai più così vicino, quel 30 maggio 1984 inizia la fine della storia d'amore tra l'ottavo re di Roma e la società giallorossa.

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