Vincente la scelta dell'EA7 di cambiare marcatura su Shengelia, la Virtus è andata oltre i suoi limiti e ha sfiorato l'impresa
di Enrico De Santis© IPA
Una partita - la più bella della serie finale - in cui non è mancato nulla: intensità emotiva pazzesca, duelli fisici durissimi, competitività a livelli altissimi e, dulcis in fundo, roventi polemiche arbitrali.
Milano l'ha vinta al fotofinish, dopo averla condotta - seppur con vantaggi mai definitivi - per 38 minuti su 40. Dove l'ha vinta? Partendo dalla difesa, zona in cui in queste partite si costruiscono successi e sconfitte. Toko Shengelia è stato l'uomo in più, l'anima offensiva della Virtus nelle prime due gare. Bravo Ettore Messina a cambiare programmi e togliere Mirotic dalla marcatura del georgiano e ad assecondare la candidatura di Nicolò Melli: "Ha chiesto lui di poterlo marcare", ha ammesso il coach dell'EA7 dopo la partita. Contro il capitano milanese, il 21 di Banchi ha avuto vita dura: 11 punti (contro i 16 e 21 delle prime due gare) e appena 6 di valutazione (23 e 19 nelle due della Segafredo Arena). E Melli ha messo il punto esclamativo alla sua prova difensiva sontuosa con la stoppata sulla tripla di Lundberg che ha fatto tremare il Forum: una giocata destinata a diventare iconica.
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Nell'altra metacampo l'Olimpia è tornata a palleggiare meno e a passare di più la palla, con evidenti benefici un pò per tutti. Soprattutto per Nikola Mirotic, il più atteso dopo aver complessivamente deluso nelle prime due gare della finale. Il montenegrino ci ha messo del suo, con l'orgoglio del campione capace di segnare canestri importanti, anche dalla lunetta nel momento più rovente del match. E ha regalato una prestazione da MVP, con un 27 di valutazione toccato una sola volta in LBA (a Cremona).
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La masterclass difensiva di Melli e i 21 punti di Mirotic sono stati i due estremi del successo dell'Olimpia. Che nel mezzo ci ha messo la solidità di Hall e Hines, i tentacoli di Voitgmann a rimbalzo, uno Shields che pur litigando con le percentuali (4 su 17 dal campo) ha fatturato 15 punti e la sorpresa Flaccadori che ha dato un importantissimo contributo sui due lati del campo nei 20 minuti in cui è rimasto in campo. Ma soprattutto Milano ha ritrovato la miglior versione di Shabazz Napier che è tornato a smazzare assist (6, contro i due complessivi nei primi due episodi della serie con la V), regalando anche giocate spettacolari e coraggiose in attacco.
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Bologna però non l'ha persa. Dopo l'enorme sforzo nelle due gare in Emilia era complicato ipotizzare che potesse reggere l'urto di una partita a così alta intensità fisica, piena di contatti e di corpo a corpo. Ha indubbiamente pagato la scarsa lucidità atletica di qualche suo elemento, ma è rimasta in piedi sui pedali e ha spinto con tutte le energie a disposizione. Ha avuto il grande merito di restare sempre a ruota di Milano, senza mai consentire che andasse in fuga. Restando lì, guidata dal solito Pajola (anche ieri 10 assist, come in gara 2) e con l'arma tattica rappresentata da Jordan Mickey che - sfruttando le attenzioni di Milano dedicate a Shengelia - ha trovato il punto debole del sistema difensivo dell'Olimpia creando numerosi mismatch che l'hanno portato a segnare 17 punti con relativa facilità da sotto canestro, con un eloquente 75% da due.
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È arrivata a tanto così dal colpaccio, la Virtus. Una vittoria avrebbe avuto un peso specifico clamoroso nell'economia della serie. E di certo non sbollirà in 48 ore la rabbia bolognese per l'ultima decisione della terna arbitrale che ha negato il possesso del possibile pareggio alla squadra di Banchi. Ha davvero toccato per ultimo Abass? Oppure la mano di Napier?
Due certezze. La prima: la risposta di un tifoso di Milano e di uno di Bologna non sarà mai la stessa. La seconda: il trio arbitrale designato per domani (Lanzarini-Attard-Giovannetti) avrà come minimo la stessa pressione delle due squadre. Forse anche superiore. In bocca al lupo.