BLOCCATI DAL LOCKDOWN

Oltre 100 giorni di trasferta per il coronavirus: l'odissea di un club di rugby samoano

Dopo aver lasciato l'isola per un match in Australia, la squadra del Manuma Samoa non è più riuscita a rientrare a causa del lockdown

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Tutto è iniziato il 23 febbraio con una trasferta per un match in Australia, poi l'emergenza Coronavirus ha trasformato il viaggio in un'odissea di 104 giorni. Protagonista la squadra di rugby del Manuma Samoa, che dopo aver lasciato l'isola del Pacifico per una partita a Perth non è più riuscita a rientrare a causa del lockdown. Una vicenda incredibile che ha messo a dura prova tutti i giocatori e lo staff e che ancora non è terminata.

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"Quando siamo arrivati ​​in Nuova Zelanda era estate, mentre quando siamo ripartiti era già inverno", ha raccontato uno degli atleti. Poche parole per descrivere una "quarantena" obbligata di oltre cento giorni. Inizialmente il programma prevedeva un soggiorno di qualche settimana di allenamento ad Auckland in vista dell'incontro in Australia e poi il rientro a casa per preparare la sfida casalinga del 21 marzo. Peccato però che il Coronavirus abbia rovinato decisamente i piani al Manuma. Mentre la squadra si stava preparando al viaggio di ritorno, il 15 marzo il governo samoano ha prima imposto una quarantena obbligatoria di due settimane per tutti i cittadini che si trovavano all'estero e poi cancellato tutti i voli internazionali da e per le Samoa. Misure che di fatto hanno isolato i rugbisti e lo staff, costretti ad alloggiare in alcuni locali adiacenti a una chiesa . "Non avevamo alcun tipo di privacy", ha raccontato alla Bbc uno dei giocatori, Theodore McFarland. Una situazione che, nonostante alcune puntate al Bingo. non ha fermato la preparazione atletica della squadra.

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Costretti a dormire tutti in una grande stanza, i venti rugbisti hanno trasformato infatti il soggiorno in una palestra, spostandosi all'aperto per allenarsi e ricevendo anche la visita della polizia per interrompere le sedute di gruppo vietate per legge. "So che non era bello vederci da fuori, ma noi eravamo un gruppo che coabitava", ha spiegato il videoanalyst del club, Hari Junior Narayan, spiegando anche che lo spirito di gurppo è rimasto comunque sempre alto nonostnate le difficoltà. "Non ci sono stati momenti di tensione o discussioni - ha aggiunto -. Le uniche avvenivano quando si giocava a bingo perché c'erano di mezzo soldi e nessuno voleva perdere".

Ad aprile una parte della squadra è stata libera (quelli che vivevano in zona), ma il resto dei rugbisti samoani sono rimasto "blindati" in un piccolo complesso di Papatoetoe. "Vedere sempre le stesse persone in un posto chiuso... non è stato semplice. Immagino che un prigioniero si senta così - ha raccontato il team manager, Tuala Pat Leota -. A peggiorare le cose, poi, ci hanno pensato i tanti annunci delle autorità che ci davano speranza di tornare e poi ce la toglievano, respingendo sempre le nostre richieste".

Fino a qualche giorno fa, quando il Manuma è riuscito a tornare a casa. Un rientro che non ha però ancora risolto del tutto la situazione. Per non correre rischi, il governo di Samoa ha imposto infatti ai giocatori e allo staff del club di rugby un'ulteriore quarantena di due settimane appena atterrati sull'isola. Un'odissea senza fine. 

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