Iaquinta, dal trionfo di Germania 2006 alla condanna

La parabola discendente di un campione del Mondo finito nel mirino della giustizia

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Udinese, Juve e Nazionale. In campo Vincenzo Iaquinta si è tolto tante soddisfazioni, prendendo parte anche allo straordinario trionfo dell'Italia ai Mondiali del 2006. Una carriera di tutto rispetto, macchiata però da alcune vicende giudiziarie che di recente, dopo il ritiro dal calcio, l'hanno travolto insieme al padre. Per Iaquinta, condannato in primo grado a due anni di reclusione nell'ambito del processo di 'ndrangheta "Aemilia", del resto, dopo le "Notti magiche" in Germania ci sono state più ombre che luci.

Dopo 176 presenze e 58 reti con la maglia dell'Udinese, nel 2007 passa alla Juve per 11,3 milioni di euro. A Torino Vincenzo ci resta fino al 2013, con una parentesi in prestito al Cesena nel 2012, facendo bene soprattutto nei primi anni e segnando 30 gol in 86 presenze. Ai margini del progetto bianconero, per Iaquinta però le ultime tre stagioni sono un calvario costellato da infortuni e delusioni. Fino all'estate del 2014, quando, dopo due anni di inattività, Vincenzo dice basta col campo e cambia vita.

Tanti suoi ex compagni di Nazionale restano nel mondo del calcio, riciclandosi come commentatori o scegliendo di sedersi in panchina a dare ordini. Nonostante il patentino di allenatore, lui invece si tiene lontano dall'ambiente che gli ha dato successo, ricchezza e notorietà, finendo però nel mirino della giustizia nell'ambito delle indagini sul più grande processo per mafia mai tenuto nel Nord Italia. Una rapida parabola discendente che dalle oltre cento reti segnate in carriera e dall'indimenticabile Coppa del Mondo alzata insieme a Cannavaro & Co ha portato l'ex attaccante azzurro nell'aula bunker di Reggio Emilia.

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