IL COMMENTO

Parte dalla Cina la crisi del calcio(mercato)

Nell'era post-Covid mancano i soldi. Ma non è solo un problema di Suning/Inter: anche gli altri grandi investitori extra-continentali del calcio europeo sono fermi

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Doveva essere, un po’ a sorpresa, il calciomercato dei grandi colpi. Nel segno di Messi. Ma, chiusa la telenovela del Diez che resta a Barcellona, volente o nolente, tutto sembra essersi fermato. Come si prevedeva, nell’era post-Covid mancano i soldi e l’imperativo per tutti è lo stesso: vendere prima di comprare. Mancando acquirenti si è innescato il cortocircuito. Certo, qualche affare è stato concluso, vedi Chelsea (investiti oltre 250 milioni di euro) ma si tratta dell’eccezione. Ed è una crisi denunciata anche da Andrea Agnelli all’assemblea dell’ECA dove ha stimato un calo di ricavi per oltre 4 miliardi nei prossimi due anni. E le difficoltà per il calciomercato sono solo la conseguenza. Soprattutto di quello che sta accadendo in Cina.

È quello il mercato calcisticamente più ricco del mondo. Il campionato cinese ha un valore di 740 miliardi di dollari. Più di Premier, Bundesliga, Liga e Serie A messe insieme. Del resto sono più di 300 milioni i cinesi che guardano una partita di calcio almeno una volta a settimana e sono 250 milioni quelli che considerano il calcio come il loro sport preferito. Tutti i grandi club europei hanno più tifosi in Cina che nei rispettivi Paesi.

Qualche numero: il Real Madrid conta 127 milioni di fan in Cina, il Manchester United 107, Inter e Milan hanno 106 milioni di supporters mentre i campioni di Europa del Bayern ne annoverano 90 milioni. Numeri pazzeschi che spiegano perché in questi anni i club cinesi hanno comprato di tutto, pagando a peso d’oro calciatori e tecnici.  Ma i tempi dei trasferimenti da capogiro sono finiti causa Covid e politica. La Cina è pur sempre un regime comunista e il Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese ha dato disposizioni al governo che non possono essere più fatte spese folli. La crisi economica sta investendo larghe fasce della popolazione cinese, dove si contano ancora 800 milioni di poveri. Dunque i tempi degli acquisti milionari, anche di giocatori non di primissima fascia (ad esempio i brasiliani Oscar e Hulk pagati dallo Shangai 60 e 55 milioni di dollari), sono superati. Così come gli stipendi folli, tipo quello del nostro Graziano Pellè, 15 milioni netti a stagione, sono da dimenticare.

A cascata il blocco degli investimenti di Pechino colpisce direttamente l’Europa del pallone da dove provenivano la maggior parte dei calciatori sbarcati recentemente in Cina. La mancanza di liquidità ha fermato gli ingranaggi del calcio europeo. E non è un problema solo di Suning (cioè dell’Inter) o degli altri club europei di proprietà cinese o asiatica. Anche gli altri grandi investitori extra-continentali del calcio europeo sono fermi.

Si pensi ai paperoni del Qatar che guidano il PSG. Per una volta sono più interessati a vendere che a comprare. E anche l’Arabia Saudita. che aveva grandi progetti calcistici in Europa per contrastare il predominio mediatico dei rivali del Qatar. segna il passo. Come dimostra la vicenda del Newcastle. Club scelto da Riad per sfidare a suon di petrodollari i cugini-rivali di Doha. Progetto che si è arenato causa pandemia. Dimostrazione che la penuria di contante ha messo in fuga anche potenziali investitori sui club europei. Oligarchi russi, emiri arabi e magnati orientali oggi latitano.

La crisi si prevede lunga anche perché il calcio resta esposto a nuove crisi pandemiche. Le perdite del pallone dovrebbero raggiungere il picco nel 2022 toccando la soglia dei 6,3 miliardi. Soltanto nel 2025, si calcola, si dovrebbe tornare alla normalità con tassi di crescita pre-Covid. Insomma Messi ha decisamente sbagliato i tempi per andare sul mercato. A differenza di Ronaldo.
 

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