Tony D'Amico, l'uomo del silenzio

Il ds anti-mediatico dietro ai successi del Verona

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Sarebbe piaciuto a Sergio Leone un tipo come Tony D’Amico, il giovane ds del Verona: aria da "C’era una volta in America" all’ufficio facce e all’anagrafe. Brillantina, pelle olivastra, naso aquilino, lo sguardo sveglio di chi ne ha vissute e la sa lunga ma la non ostenta, una sigaretta dopo l’altra; e poi quel nome e cognome lì, che suona da ragazzo del Bronx. Sposato con due figli, a Verona sta benissimo; conquistato dalle bellezze della città, ha però poco tempo per gustarsela, visto che lavora giorno e notte; pescarese, l’unica cosa che gli manca è il mare dell’Abruzzo e una grande abbuffata di pesce, sebbene a vederlo sia più smilzo di un’acciuga.

Lui con la Pastissada de caval che sfornano dalle cucine delle trattorie veronesi, fatica un tantino ad andarci d’accordo. E ci può stare, se il palato non l’hai allevato da quelle parti. Eppure, quando nell’estate del 2018 il presidente Setti puntò su di lui per rifondare la squadra appena retrocessa in B, la piazza non gli riservò certo carezze. Ben che gli andasse, lo dipingevano come un oggetto misterioso; sul resto, tralasciamo. In due anni, Tony ha fatto ricredere anche i più scettici: prima la promozione, e ora il Verona delle meraviglie, la vera sorpresa della serie A, sono due sue creature.

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