Verona scudetto 1984/85 © italyphotopress
Lo scudetto piu' inatteso, l'ultimo di una 'provinciale'. Il 12 maggio del 1985 avvenne qualcosa di incredibile per il mondo del calcio: il Verona diventava Campione d'Italia. Un'impresa impensabile, solo sfiorata negli anni di un calcio che non c'è più da Lanerossi Vicenza ('77) o Perugia ('79), e realizzata nella stagione in cui l'altra novità rivoluzionaria era il sorteggio arbitrale. Erano gli anni di Maradona (prima stagione al Napoli), Platini e Rummenigge. Ma furono le corse a calzini abbassati di Hans Peter Briegel i gol di Preben Elkjaeer a entusiasmare l'Italia calcistica, non soltanto i tifosi gialloblù.
Sono passati praticamente 40 anni da quella favola calcistica, una cavalcata vincente dei ragazzi allenati da Osvaldo Bagnoli, vero demiurgo dello scudetto, uomo schivo e allenatore di ferro che ha avuto il merito di amalgamare un gruppo composto da giocatori fino ad allora perlopiù sconosciuti se non 'scartati' dalle loro precedenti società. "A Osvaldo devo tutto", ricorda ancora oggi Pietro Fanna, uno degli outsider di quel Verona tricolore. Da quel momento però i loro nomi divennero più che famosi e a Verona sono tuttora recitati a memoria, come nelle cantilene di squadroni più famosi. "La prima partita - ha ricordato Briegel, celebrando il quarantennale alcuni giorni fa - era con il Napoli: dormivo in stanza da solo perché russavo. A un certo punto si apre la porta, entra Bagnoli, 'tu domani marchi Maradona', e via senza neanche un arrivederci. Decisamente, sapeva come parlare...".
La porta degli scaligeri era affidata a Claudio Garella: un portiere atipico per quegli anni che usava in modo fenomenale i piedi per parare, e che alla Lazio era stato ribattezzato 'Paperella', a Verona divenne 'Garellik'. Al centro c'erano Roberto Tricella e Silvano Fontolan, con Mauro Ferroni e Luciano Marangon esterni. Le chiavi del centrocampo erano affidate ad Antonio Di Gennaro con Domenico Volpati e il tedesco Briegel, che tre anni prima aveva sfidato l'Italia nella finale persa al Mundial. Sulla fascia correva Pierino Fanna, mentre l'attacco contava su Giuseppe Galderisi e sul danese Preben Elkjær Larsen. Epico un suo gol contro la Juventus dopo aver perso una scarpa. L'ironia veneta fece il resto: fu soprannominato "cenerentolo". È sicuramente uno dei volti di quella squadra e rimasto sempre legato alla città al punto che nel 2018 ha ottenuto la cittadinanza onoraria di Verona.
Quello scudetto fu ottenuto grazie all'aiuto di tutti. Sarebbe ingiusto non citare Sergio Spuri, Fabio Marangon, Luciano Bruni, Dario Donà, Luigi Sacchetti, Antonio Terracciano, Franco Turchetta e Domenico Volpati. L'eccezionalità del lavoro di Bagnoli è legata anche alla rosa molto ridotta a sua disposizione: 20 giocatori dei quali soltanto 12 superarono le 20 presenze in campionato. Ma il gruppo era molto legato. In tanti erano arrivati quell'anno da altre società che non avevano creduto in loro: Di Gennaro dalla Fiorentina di Antognoni; Bruni, Fanna e Galderisi dalla Juventus, mentre Fontolan e Tricella provenivano dall'Inter. Garella non aveva spazio alla Lazio, dove era deriso; Marangon era reduce dalle esperienze di Napoli, Roma e Juve. Donà aveva lasciato il Milan perché non aveva spazio. Anche i due stranieri, come prevedeva il regolamento dell'epoca, erano sulla carta inferiori rispetto ai campioni che all'epoca giovano in Serie A, da Maradona in giù.
Il campionato iniziò subito bene con una sonante vittoria per 3-1 proprio contro il Napoli del "Pibe de oro". Poi la vittoria contro la Juventus di Michelle Platini e Zbigniew Boniek, quelle in casa di Torino e Lazio. Unica sconfitta del girone d'andata contro l'Avellino di Ramon Diaz al Partenio. Nel girone di ritorno la vittoria in casa dell'Udinese di Zico. Poi tutte vittorie e pareggi. L'unico momento difficile la sconfitta contro il Torino per 3-1: i granata guidati dal brasiliano Junior e dall'austriaco Walter Schachner quell'anno erano i loro primi inseguitori e chiusero secondi a -4 dagli scaligeri. L'Inter di Karl Heinz Rummenigge chiuse a -5. Infine, arrivò quel pareggio per 1-1 in casa dell'Atalanta il 12 maggio 1985 che valse lo scudetto. Poi la festa con la vittoria per 4-2 contro l'Avellino davanti a 50mila spettatori. Dopo quel giorno, qualcosa di analogo è riuscito solo alla Sampdoria di Mantovani, che col suo primo tricolore nel '91 interruppe la serie di Juve, Milan, Inter, Napoli e ancora Juve, Inter, Milan.