BUON CALCIO A TUTTI

Un anno di Conte: tra promesse mantenute e... mancate

Presentato da Beppe Marotta come il Top Player dell'Inter, ha ottenuto risultati alterni. E il suo bilancio...

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Il 7 luglio del 2019, giusto un anno fa, Beppe Marotta lo aveva presentato come il nostro Top-Player, per un'Inter "no-limits". Molto più umilmente, Antonio Conte aveva rifiutato quella definizione limitandosi a indicare l’obiettivo per l’incombente stagione: "Dobbiamo avere stabilità, essere più regolari per rendere i tifosi orgogliosi di noi e di loro stessi.” E’ passato un anno e, con onestà intellettuale, va detto che i propositi di mister Conte si sono avverati ma SOLO IN PARTE. Nella prima metà del campionato, quando la parola scudetto non faceva rima con utopia, e quando la prima metà delle partite di Champions avevano mostrato una squadra in grado di andare a spadroneggiare a Barcellona o a Dortmund.


Poi le inopinate cadute, con la Lazio, con la Juventus a Torino e addirittura con il Bologna ridotto in 10. Ed è la ferita di quest’ultimo harakiri che condiziona i giudizi, che alimenta i dubbi. Che mette Conte sul banco degli imputati, perché nel calcio, come nella vita, ciò che conta è adesso. Gli si imputa incoerenza e contraddizioni nelle dichiarazioni a caldo nei post-partita. L’inadeguatezza del suo faticosissimo 3-5-2 (per i giocatori) in questo anomalo periodo in cui il termometro supera abbondantemente i 30 gradi (ma Atalanta e Napoli volano…). Gli si imputano alcuni turnover eccessivi, tipo la prima parte della gara col Sassuolo. Gli si imputa tutto ciò, molto banalmente e coerentemente, perché è lui il capo del branco, quello che decide, che valuta e sceglie. E che quindi, come logica, guadagna più degli altri.

Chi ne critica il gioco ha ragione ma SOLO IN PARTE. Perché quando ripensi ai primi tempi di Barcellona o di Dortmund, al ritorno di Coppa Italia a Napoli, alla prima ora con la Samp o con lo stesso Bologna - tanto per rimanere quasi sulla stretta attualità - non si può negare che ci sia stato calcio-spettacolo. E se c’è stato, significa che l’Inter ha funzionato. Che le sue idee sono state assimilate, metabolizzare e messe in pratica. Purtroppo SOLO IN PARTE.

L’imputato, come in ogni processo serio, non può non avere valide attenuanti. E allora, se la corte vuole essere clemente, ricordi quanto gli infortuni abbiano pesato nella gestione della squadra. Mi rifaccio sempre alla sfida del Nou Camp con i blaugrana: la formazione vedeva Handanovic tra i pali, poi Skriniar, De Vrij, Godin in difesa; a centrocampo Candreva, Barella, Brozovic, Sensi e Asamoah, in attacco i due Lukaku e Martinez. Ecco basta pensare a quel centrocampo e paragonarlo a quello sceso in campo col Sassuolo (Moses, Borja Valero, Gagliardini, Biraghi, con l’aggiunta di Eriksen trequartista) per capire che, sebbene l’allenatore sia sempre lo stesso, stiamo parlando di due squadre molto diverse l’una dall’altra.

E’ pur vero che la società è intervenuta massicciamente nel mercato invernale per tentare di tappare le falle, ma se su Young e Moses (più il primo del secondo) il giudizio può essere positivo, è innegabile quanto Eriksen abbia creato problemi anziché risolverli. Fare un bilancio oggi, dopo 365 giorni dalla sua presentazione, significa ridurre il tutto a quel più 8 nei confronti del suo predecessore Spalletti dopo 30 giornate, con il quale può condividere le precoci eliminazioni in Champions e in Coppa Italia. Ma c’è ancora in ballo l’Europa League che, forse, potrà dare un senso a questa stagione in cui Conte ha - MA SOLO IN PARTE - deluso. Colpevole di aver illuso il popolo nerazzurro con quella folgorante e scoppiettante prima parte della stagione.     
 

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