Due tra gli allenatori più vincenti della storia si affrontano in una partita particolarmente interessante anche a livello tattico
di Andrea Cocchi© Getty Images
Milan-Napoli significa già tanto, anche alla quinta giornata. Certo, la suggestione di Max che vincendo va a prendere Conte ai vertici della classifica è comunque affascinante, ma ci sono degli aspetti suggestivi che rendono il San Siro di domenica sera il centro dell'attenzione. Innanzitutto c'è il fatto che, ormai, è abbastanza superfluo affrontare ogni analisi tecnica con convinzioni aprioristiche. Il luogo comune viene spazzato via in pochi secondi nel calcio moderno. Certo, ognuno avrà le sue idee che però diventano per forza di cose malleabili, come un abito che si adatta alle caratteristiche fisiche di chi lo indossa.
Allegri, per esempio, ha fatto ricredere anche i suoi detrattori di lungo corso che non hanno cambiato idea ma, molto semplicemente, hanno visto e sottolineato il lavoro fatto finora da Max e il suo staff allargato. La versione iper reattiva del ritorno alla Juve era francamente difficile da difendere. Ora c'è una squadra che si fonda sulla tenuta difensiva, come da legge immutabile e assolutamente legittima dell'Allegri pensiero. Il Milan, insomma, crea un blocco in cui gli spazi si restringono ed è complicatissimo trovare luoghi da attaccare anche in quelle zone in cui di solito si resta scoperti. In fase di difesa posizionale i due esterni di centrocampo si abbassano e non concedono cambi di gioco. Il reparto di mezzo è spesso in superiorità perché Pulisic, che parte da trequartista, aiuta i colleghi a metà campo.
Quello che più colpisce, comunque, è l'atteggiamento con la palla, con un'attenzione maggiore al possesso, anche a partire da posizioni arretrate. Le caratteristiche dei centrocampisti permettono di abbinare l'immensa visione di Modric alle capacità di inserimento di Rabiot e Fofana, che sfruttano i movimenti a liberare lo spazio di Gimenez. A tutto questo si aggiunge la qualità indiscussa di Allegri di saper leggere la partita sfruttando le sostituzioni e quella del suo staff nel prepararla sulle caratteristiche degli avversari.
Già, gli avversari. Anche Conte era considerato troppo integralista, fissato con il 3-5-2 e i movimenti codificati in fase offensiva. Dopo l'esperienza al Tottenham si è fermato e si è aggiornato. Ha visto come il calcio sia andato in direzioni nuove e come si faccia in fretta a trovare antidoti da parte di chi ti affronta. Già l'anno scorso ha cambiato alcuni concetti e anche, spesso, il sistema di gioco. In questa stagione ha fatto un ulteriore salto in avanti. Con l'arrivo di De Bruyne, unito all’eclettismo di McTominay, si è ritrovato un centrocampo di lusso ma difficile da assemblare. Ecco allora l'idea di non rinunciare a nessuno dei suoi elementi del reparto di mezzo. Lobotka è l'unico ad avere la sua posizione fissa, per il resto si assiste a un continuo movimento che moltiplica, in fase offensiva, le possibilità di sviluppo del gioco. Nonostante la presenza di Neres e l'arrivo di Lang, la fascia sinistra è affidata alle incursioni di Spinazzola in un sistema asimmetrico che prevede invece, a destra, la presenza fissa di Politano. L'esterno basso mancino può anche accentrarsi, compiendo spostamenti complementari rispetto a chi va a occupare la fascia, ed è fondamentale, da quella posizione, nel tentare subito la riaggressione a palla persa.
Insomma, per valutare il calcio, ormai, si deve uscire da logiche preconcette. D'altra parte quando si vede Guardiola che, per difendere una vittoria nei minuti finali, sostituisce punta e mezza punta per chiudere con una difesa a cinque, si capisce bene che i luoghi comuni servono solo per darci certezze che la realtà spazza via in pochi secondi.