Si parla tanto di calciatori, ma mancano talenti anche tra i dirigenti. E intanto gli appassionati...
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In Spagna il presidente della Federazione Calcio ha 57 anni, il tecnico De La Fuente 63. In Inghilterra comanda una donna (evviva!) di 61 anni e in panchina c’è il tedesco Tuchel, 51. In Germania chi dirige ne conta 63, mentre chi allena, Nagelsmann 37. Sono messi bene anagraficamente anche in Francia: 61 primavere il presidente, 56 Deschamps. Mentre siamo in attesa della fumata bianca per il papa Ranieri (73) con Gravina (71) alla stufa usata per la combustione, abbiamo sempre più una certezza: l’Italia, nella fattispecie il calcio in Italia, non è affare per giovani.
Uno dei nostri limiti è stato sempre limitare l’approfondimento ai giocatori. “Dove sono finiti i talenti di una volta, quei pochi di oggi non li facciamo giocare, imponiamo limiti di utilizzo, premiamo chi li schiera…” e via dicendo. Il problema dell’assenza o della mancata valorizzazione dei giovani va però allargato a chi c’è fuori dal campo. Cominciando dai dirigenti. La disorganizzazione e la mancanza di professionalità albergano soprattutto alla base della piramide (settori giovanili, società dilettantistiche): la mancanza di un bacino credibile finisce per penalizzare i vertici del sistema. La FIGC e anche il CONI dovrebbero ampliare l’accesso ai corsi per dirigenti, riducendo i costi e introducendo borse di studio per giovani talenti dietro la scrivania. Attualmente ci sono barriere economiche per molti aspiranti dirigenti e la formazione è poco orientata alla gestione sostenibile e alla programmazione a lungo termine. E’ un calcio da “tutto e subito” che diventa “niente subito”. Ci sarebbe anche il capitolo da dedicare ai giovani che seguono sempre meno il calcio, gli appassionati che lo seguono alla tv alimentando quella che rimane la principale forma di sopravvivenza dell’intero sistema. Sono in diminuzione perché bombardati da infinite sollecitazioni e da altri sport dove la bandiera italiana si può sventolare con orgoglio. Siamo sicuri che la loro disaffezione non dipenda soprattutto dal fatto che il mondo del pallone li emargina a tutti i livelli?