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Torino, 21 lug. (LaPresse) - "L'emozione più grande è l'urlo per la Champions. Napoli è casa mia". Otto anni nel Napoli, 170 presenze, due crociati rotti ma anche due trofei vinti, la coppa Italia contro la Fiorentina e la Supercoppa italiana contro la Juventus, sono i numeri del terzino Faouzi Ghoulam. "Il numero di partite non conta. Alcuni compagni di squadra più vecchi mi dicevano che una stagione al Napoli valeva il doppio ed è stato così - confessa agli ambassador di Giffoni Sport - Ogni anno diventa più pesante dell'altro, perché c'è l'aspettativa di vincere lo scudetto. Quando indossi questa maglia devi anche incominciare a mentalizzare di essere napoletano. Non ho giocato in una squadra normale, ma per il Napoli. Non è la stessa cosa: lì ho giocato per un popolo. Napoli ti prende, Napoli ti appartiene. Lo vedi con tutti, resta a vita e non è un'abbronzatura che dopo l'estate se ne va: vale per Hamsik, per Maggio, per tanti altri". Nella sua bacheca c'è anche un premio speciale: la consegna del Pallone d'Oro algerino, ricevuto dalle mani del campionissimo Paolo Maldini. Ma la testa è allo scudetto, quello festeggiato pochi mesi fa. "Tutti vogliono dimenticare e mettere tra parentesi questo risultato, ma l'impresa del Napoli resta per sempre - dice Ghoulam - adesso non dobbiamo avere troppa fretta, perché il Napoli deve costruire un futuro. Gli scudetti sono stati un sollievo, dopo aver visto giocare Maradona, dopo essere finiti in serie C, poi B, A, le coppe europee. Adesso il Napoli deve costruire una cosa sul futuro ed è un percorso che si delinea anche insieme alla gente del posto. La cosa più bella sarebbe far vincere il Napoli anche con tanti napoletani all'interno".
Il legame più importante con un calciatore è stato "con Koulibaly, un fratello davvero perché anche la mamma dice che sono un altro figlio suo". La stagione più bella? "I primi sei mesi, la scoperta del golfo, del cibo, il nuovo mondo che si è aperto a me, al netto dei punti conquistati e del primo trofeo vinto, la coppa Italia".
Poi arriva una domanda dai giffoners per Ghoulam, quella sulla festa di Yamal e sulle polemiche. Risponde così: "La gente conosce solo l'aspetto calcistico. Una vita normale non l'abbiamo, soprattutto durante l'adolescenza. Yamal ha 18 anni, si può divertire. I giornalisti devono fare il loro lavoro e commentare quello che fa in campo. Il problema non sono le feste e il divertimento ma il recupero. Nel calcio ci sono due allenamenti: quello sul campo e quello invisibile, quest'ultimo fatto di alimentazione e recupero. È una vita che la gente non vede e che è, però, la più importante. Se oggi vuole divertirsi e appena ricomincia il campionato resta concentrato sul campo, va bene. Ronaldinho avrebbe potuto fare molto di più. Se non è accaduto, è colpa sua. Yamal è forte, il migliore in questo momento secondo me. Ha la luce dei riflettori, gli sta bene e non si defila. Vediamo che cosa accadrà nel prosieguo della sua carriera".
Il futuro? "Tra poco parteciperò al corso Uefa-B. Poi con la Uefa farò un corso biennale di business e management. Ho anche altre attività fuori dal calcio. Me lo ha permesso la scuola: testa giusta per le cose e i momenti giusti. Ho aziende, ma il calcio mi ha dato tanto e qualcosa lo dovrò ridare". Lanciato da Benitez e consacrato da Sarri, Ghoulam dice di aver imparato tanto anche da "Ancelotti, Spalletti, Gattuso. Le persone non danno il vero valore a Rino, che invece farà una grandissima carriera".
Nel corso della sua carriera, Faouzi ha aiutato spesso persone in difficoltà. "Sono molto religioso - spiega - e la mia religione non me lo consiglia ma me lo impone. Non è un consiglio ma un obbligo. Ci dice di dare una parte della nostra ricchezza ai poveri. Al tetto del successo non sono arrivato da solo. Quindi innanzitutto ringrazio chi mi ha aiutato a crescere e poi i tifosi che danno tanto amore. Un amore da restituire. Andare in ospedale, dare da mangiare, regalare un sorriso, aiutare il vicino di casa fanno parte della mia quotidianità. Una persona che non sa da dove viene, non sa dove arrivare. Non dare per aspettarsi qualcosa in più, ma dare perché Dio ha dato tanto e bisogna ridare".