ALPINISMO

“Il Cervino è una calamita, ma voglio tornare in spedizione”: Francesco Ratti pronto a ripartire  

Nostra intervista con l’alpinista e Guida del Cervino che, insieme a François Cazzanelli, forma una delle cordate più forti attualmente in attività sulle Alpi.

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Tra i professionisti della montagna sono tutt’altro che rari - anzi per la verità piuttosto comuni - i casi di alpinisti di primo piano che alternano (e completano) le loro realizzazioni sportive con la pratica del mestiere di guida alpina. Francesco Ratti ne è un esempio piuttosto significativo ed al tempo stesso speciale: a partire dal percorso che lo ha portato dalle prime elevazioni delle Prealpi alle porte di Milano ai “quattromila” della Valle D’Aosta.

Francesco, tu sei originario di Lecco ma la tua vita ti ho portato ben presto sulle Alpi Occidentali. In pratica, da Lecco ai “giganti” della Valle d’Aosta e più precisamente dalle Grigne al Cervino! Come è avvenuto questo passaggio? Al di là delle evidenti differenze del “terreno di gioco”, in che termini hanno influenzato la tua formazione le montagne che circondano il Lario e quelle della Valle d’Aosta?

Sì, esatto, sono originario della provincia di Lecco ma da ormai diversi anni mi sono trasferito in Valle d’Aosta. Il “passaggio” è avvenuto nel momento in cui ho deciso di praticare la professione di Guida Alpina a tempo pieno. Con questo non voglio dire che in provincia di Lecco non si possa vivere di tale professione. Al contrario, il bacino di utenza del Lecchese e del Milanese è decisamente importante per un professionista che voglia sviluppare la propria attività. La scelta di trasferirmi in Valle d’Aosta è stata invece dettata da una mia personale voglia di vivere a più stretto contatto con l’alta montagna e di trasmettere questa mia visione anche ai miei figli. Resta il fatto che la mia formazione alpinistica ha avuto origine sulle montagne che circondano il Lario e da queste ho ereditato l’amore per l’arrampicata su roccia e la verticalità che poi, abbinate ad un terreno d’alta montagna, creano a mio avviso un connubio perfetto.

Il nostro incontro con il 41enne alpinista di Valtournenche è avvenuto a Cervinia, nella cornice dei festeggiamenti per il centenario di fondazione di Millet, ricorrenza celebrata con il rinnovo - per i prossimi tre anni - della collaborazione tra l’azienda transalpina e la Società delle Guide del Cervino (della quale Francesco Ratti fa parte), che si aggiunge alla conferma della partnership con le altrettanto storiche Compagnie delle Guide di Chamonix e di Grindelwald. Come dire: Cervino, Monte Bianco e Eiger!

Francesco, viene da dire: il Cervino nel destino. Per te la montagna che sovrasta Cervinia (e Zermatt, sul versante nord) ha un significato particolare?

Il Cervino per me è sempre stata la montagna simbolo: per bellezza e difficoltà. Fin da bambino sognavo di salirlo e quando - a diciotto anni - ne raggiunsi per la prima volta la vetta  in compagnia di mio padre fu un momento che segnò profondamente la mia crescita alpinistica. Quindi devo dire che questa montagna ha per me sia un valore simbolico che affettivo! Anche se l’ho salito ormai innumerevoli volte, il Cervino è come una calamita. Ogni volta che lo guardo sogno sempre qualche via nuova sulle sue pareti. Però ho in mente progetti sia sulle Alpi che sulle montagne del mondo e - se la situazione sanitaria lo permetterà - quest’anno vorrei tornare in spedizione, visto che tutti i progetti dell’anno scorso sono stati annullati a causa della pandemia.

Tu svolgi il mestiere di guida alpina, anzi sei una Guida del Cervino. Quale ritieni sia l’importanza della tua professione nell’ambito della frequentazione della montagna, oggi sempre più “allargata” ad un pubblico non sempre particolarmente preparato? Pensi che il mestiere di guida vada bene così com’è strutturato oggi o che si posso renderlo più efficace?

È un mestiere molto complesso e dalle infinite sfaccettature. Il percorso per diventare Guida Alpina è lungo e complesso, richiede esperienza e capacità tecniche su tutti i terreni (roccia, ghiaccio, alta montagna, sci) per essere intrapreso. Questa lunga formazione fornisce al professionista le competenze per accompagnare i clienti in ascensioni di tutti i livelli ma anche per insegnare le tecniche indispensabili ad affrontare itinerari di un certo impegno in sicurezza e autonomia. A mio avviso è proprio questa componente “didattica” a rendere la figura della Guida fondamentale nello sviluppo della frequentazione della montagna. Se noi guide sapremo trasmettere correttamente questi concetti, il pubblico che si affaccia alla montagna sarà sempre più preparato e meno improvvisato. Di conseguenza, la figura della Guida dovrà sempre di più orientarsi verso questa funzione pedagogica di vero e proprio “maestro” d’alpinismo ed avrà in futuro un ruolo sempre più importante nella frequentazione della montagna. Il nostro mestiere dovrà evolvere in questa direzione. È molto importante che le Guide Alpine che andremo a formare nei prossimi anni sviluppino questa consapevolezza.

Come dovrebbe comportarsi l’uomo comune nell’approccio alla montagna (non necessariamente alle difficoltà alpinistiche) e quale ruolo dovrebbero avere i professionisti della montagna per aumentare sia la sicurezza che il valore dell’esperienza in quota?

L’uomo deve innanzi tutto rendersi conto che - in montagna - interagisce con la natura al suo stato più puro e così facendo da un lato può entrare in contatto con la bellezza e la purezza più incontaminate ma dall’altro tenere sempre a mente che le forze in gioco sono tali da poterlo distruggere in un battito di ciglia. L’approccio alla montagna deve essere dei più umili, cercando innanzi tutto di interagire con l’ambiente senza la pretesa di dominarlo. Il ruolo del professionista della montagna deve essere quello di accompagnare il neofita in questo fantastico mondo proteggendolo dai rischi ai quali si esporrebbe inevitabilmente a causa della mancanza di esperienza, educandolo ad interagire con l’ambiente in sicurezza e consapevolezza.

In che percentuali si divide la tua attività tra mestiere di guida e alpinismo di punta? Sei soddisfatto di questo equilibrio o vorresti fare di più dell’uno o dell’altro?

Direi in modo abbastanza equo. Ovviamente ci sono periodi in cui pratico principalmente il mestiere di guida ed altri nei quali mi dedico quasi esclusivamente alla preparazione ed alla realizzazione di progetti alpinistici specifici. Ho la fortuna di potermi ritagliare il tempo per concentrarmi al cento per cento sui miei piani anche grazie ad aziende come Millet che ha sempre creduto in me e che mi ha sempre offerto un grande supporto. 

Insieme a François Cazzanelli formate una cordata molto affiatata. Qual è stato il progetto alpinistico comune che ricordi con più soddisfazione?

È vero, con François formiamo una bella squadra! Il progetto che ricordo con più soddisfazione è sicuramente il primo concatenamento invernale di Cervino e Grandes Murailles che abbiamo realizzato nel febbraio 2020. Un progetto speciale che ci ha fatto sognare, ci ha illuso per diverso tempo e ci ha costretto a diversi tentativi in anni diversi. La sua realizzazione ha rappresentato un traguardo importante ed una crescita altrettanto significativa come alpinisti e come cordata. Insieme a François ne abbiamo vissute tante, difficile trovare un aneddoto in particolare. La scorsa estate durante il nostro concatenamento in velocità del cosiddetto “Trittico del Freney” sul Monte Bianco siamo stati sorpresi da un temporale in cima al Pic Gugliermina. Ricordo ancora le risate che ci siamo fatti pensando ai nostri amici a casa sul divano mentre noi ci riparavamo sotto ad un sasso per allentare la tensione e trovare il morale necessario a superare il momento difficile. A volte la forza della cordata si riconosce proprio nelle situazioni più critiche.

Come vi siete “trovati”, tu e François? Qual è - se così si può dire - il segreto del vostro successo? Siete tra l’altro di età diverse e ben assortiti anche caratterialmente. C’è un punto di equilibrio specifico?

Abbiamo la stessa visione dell’alpinismo e spesso condividiamo gli stessi sogni. Non ci sono particolari segreti nel nostro modo di affrontare la montagna: semplicemente viaggiamo allineati ed insieme riusciamo rapidamente a fare delle scelte condivise. Siamo diversi ma entrambi abbiamo caratteristiche che in qualche modo completano l’altro. Penso che proprio questo sia il punto di equilibrio.

In conclusione, mi puoi dare la tua valutazione sulla prima invernale del K2 da parte degli alpinisti nepalesi ed un ricordo di quelli che hanno perso nel corso della recente stagione di scalate invernali sulla seconda montagna della Terra? Ne conoscevi qualcuno personalmente?

Sono davvero felice per il successo dei nepalesi: hanno dimostrato al mondo la loro forza e il loro spirito di squadra. Si meritano tutto il nostro rispetto perché quello che hanno fatto è davvero grande. Purtroppo l’ultima stagione di spedizioni invernali  al K2 sarà ricordata anche per i lutti e le tragedie. In particolare vorrei ricordare la perdita di Sergi Mingote, mio compagno nel team Millet. Ho imparato a conoscerlo durante le sue scorribande qui sulle Alpi (lo sfortunato alpinista catalano a Cervinia era di casa, ndr). Una persona fantastica: pieno di vita, entusiasta, aveva sempre una parola buona ed un sorriso per tutti. Sergi mancherà a molti, la sua perdita ha lasciato un vuoto enorme.

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