ALPINISMO

Gli abissi di Simone Moro: dai Gasherbrum al Manaslu, passando per l'esperienza del lockdown

Il quinto "ottomila" invernale è lo scopo della nuova spedizione di Simone Moro, insieme a due alpinisti baschi. È conto alla rovescia per la partenza.

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Undici mesi dopo la caduta in un crepaccio durante la spedizione ai Gasherbrum I e II - nel Pakistan - Simone Moro è pronto a tornare sulle montagne più alte del pianeta, questa volta in Nepal. Missione Manaslu (Himalaya) per l'alpinista bergamasco che abbiamo incontrato a Milano in occasione dei Garmin Beat Yesterday Awards. Per parlare della sfida imminente,  dei suoi vecchi e nuovi compagni di avventura, di lockdown e pandemia e poi, non ultimo, del K2!

Simone, siamo alla vigilia della partenza del tuo nuovo progetto:  lasci l'Italia alla volta del Nepal a fine anno, per una spedizione invernale al Manaslu che, con i suoi 8163 metri, è l'ottava montagna più alta del pianeta.

Esatto, questo è il mio terzo tentativo: il Manaslu mi ha già respinto due volte e sempre per lo stesso motivo. Sia nel 2015 che nel 2019 le abbondanti nevicate - più di sei metri di neve - hanno vanificato tutti gli sforzi: il pericolo era troppo alto. È un cerchio che mi piacerebbe chiudere perché... è una montagna che mi piace. Non l’ho mai salita e mi piace l’idea di tentarla in inverno. Inoltre – se le condizioni lo permetteranno – proveremo addirittura a fare il collegamento con l'East Pinnacle, che è una sorta di anticima del Manaslu ma soprattutto il “settemila” più alto della Terra. Pensa che per soli otto metri non raggiunge la fatidica quota “ottomila”! Insomma, visto che per il "mio" Nanga Parbat invernale ci sono stati due tentativi falliti, prima del terzo andato a segno, spero che la storia si ripeta al Manaslu.

Chi sono i tuoi compagni di spedizione?

Sono due alpinisti baschi: Alex Txikon ed il suo amico Iñaki Alvarez. Ad Alex mi accomuna un’amicizia che dura da diciassette anni: scaliamo insieme da tanto tempo e tra l'altro abbiamo salito proprio il Nanga Parbat insieme nel 2016. Iñaki invece non lo conosco, se non di fama. Sarà un team piccolo, come piace a me. Proveremo a salire questa montagna senza usare ossigeno, senza usare sherpa, quindi nella maniera più “pulita” che noi sappiamo fare. Perché tentare di farla in puro stile alpino presuppone un’acclimatazione preventiva e quindi fare tutto il processo su un’altra montagna, cosa che per una questione logistica e di costi non vogliamo fare. Quindi cercheremo di acclimatarci in maniera classica e poi salire più leggeri possibile.

Quella che sta iniziando è una stagione invernale che vede solo voi al Manaslu mentre al K2 il campo base si prevede parecchio “affollato”…

Se è vero che al Manaslu saremo solo noi tre, al K2 ci sarà invece... tanta gente. Più di settanta persone. O meglio, una settantina di alpinisti. Ai quali bisogna aggiungere tutto il personale "accessorio": lo staff di ogni singola spedizione, tra cuochi, aiuto cuochi, logistici e così via. Quindi… Penso che al campo base del K2 nelle prossime settimane arriveranno ad esserci fino a duecento persone!

Tra l'altro, la questione delle "prime invernali" è sempre più tribolata e... ingarbugliata. Una certa "scuola di pensiero" tende a considerare il periodo utile per considerare valide le scalate invernali in Himalaya quello che va dall'inizio di dicembre alla fine di febbraio. Ci aiuti a fare chiarezza?

Allora, dare una definizione di "inverno" secondo me è semplicissimo. Basta aprire internet e vedere quando comincia, che è poi quello che abbiamo studiato a scuola, cioè l’inverno astronomico: dal 21 dicembre al 21 marzo. Poi adesso, o meglio ultimamente, è montato un caso che… non è mai esistito perché è come dire: quando è l’alba e quando è il tramonto. Il sorge sole, il sole cala! Adesso, giornalisticamente si sta provando a dire che l’alba è quando il sole cala e il tramonto… quando sorge! Quindi si stanno valutando anche gli inverni diversi. Per me è un non-problema in quanto tutte le "invernali" che ho fatto rientrano in tutte le tipologie di inverno che uno vuol considerare: le ho fatte tutte a gennaio o febbraio, okay?

Questo è stato un anno particolare per tutti. Nel tuo caso poi è iniziato con la tragedia sfiorata in Pakistan in occasione del tentativo di concatenamento di Gasherbrum I e II nella catena del Karakoram insieme a Tamara Lunger. Poi al tuo rientro in Italia è iniziato il periodo del (primo) lockdown a causa della pandemia, che nei tuoi luoghi ha colpito duramente. Hai rielaborato tutto questo nel tuo ultimo libro, che muove proprio dalla tua disavventura pakistana. L’abisso del quale tu parli però è qualcosa di molto più complesso…

Beh, allora, ci sono delle coincidenze incredibili: l’ultima intervista l’ho fatta proprio con te, tre giorni prima del primo lockdown (giovedì 5 marzo, ndr) e il libro, che è nato durante il lockdown, non era pianificato per quel periodo. Doveva nascere in un periodo di vita normale per tutti. E l’assurdo è che è stato poi pubblicato all’inizio della seconda fase di chiusura! “Ho visto l’abisso” è il titolo, perché nell’abisso io mi ci sono trovato, da “somaro” tra l’altro: è stata la spedizione nella quale mi sono fermato più in basso, perché a cinquemilacinquecento metri ero già caduto in un crepaccio. Se non ci fosse stata Tamara a tenere la corda - e se non fossi riuscito ad inventarmi il sistema per uscire - avrebbe anche potuto essere l’ultimo crepaccio che vedevo nella mia vita terrena.

L’abisso di cui parlo è metaforicamente quello che stiamo vivendo ancora oggi noi tutti, sia umanamente che professionalmente. È  chiaro che gli abissi che io ho visto nella mia carriera me li sono cercati, quelli che noi tutti stiamo vivendo adesso nessuno se li è andati a cercare e le difficoltà che l'emergenza sanitaria ci mette davanti sono molto più protratte nel tempo che non le poche ore necessarie a venir fuori da un crepaccio. Magari potessimo uscire dalla pandemia in poche ore! Stiamo insomma imparando a convivere con un abisso decisamente meno ludico e meno piacevole rispetto a quelli che ho visto io. È uscito questo parallelismo, ho voluto impostare la narrazione con un co-protagonista che è mio figlio Jonas: come se lo stessi narrando a lui, quindi con un linguaggio tutt'altro che tecnico e ben lontano dalla volontà di fare un libro accattivante per i "masticatori" di mondo verticale. Sta andando abbastanza bene, forse anche perché le metafore sono molto più.. condivise rispetto ad altre che magari ho utilizzato in altri libri.

Farai ancora cordata con Tamara? Lei quest’anno – nei mesi estivi - ha realizzato un suo progetto  particolare (il Tamara Tour Italy, sui punti più elevati di ogni regione del nostro Paese), come d’altra parte anche tu hai fatto, ripetendo a vent’anni di distanza la traversata delle “tue” Orobie. Ci sarà ancora occasione di partire in spedizione insieme a lei?

Allora, non lo so… perché ogni cordata ha le sue fasi e le sue stagioni. Io penso di avere aiutato Tamara a crescere, a maturare ed a raggiungere un’indipendenza che adesso lei ha, non solo e non tanto sulla montagna ma anche a livello decisionale. È chiaro che probabilmente ci alleneremo e arrampicheremo insieme ma ormai io la vedo avviata su un percorso che non deve essere per forza in cordata con me. Perché è anche giusto, e Tamara lo ha dimostrato già da un po’ di tempo, che lei brilli di luce propria, che non sia la "compagna" di Simone Moro ma l’alpinista Tamara Lunger.

Tra l’altro la parola "alpinista" non ha connotazioni di genere: alpinista uomo e alpinista donna. Allora,Tamara è l’alpinista che ha deciso di andare quest'inverno al K2. Io non sono andato con lei solo per via delle premesse: non volevo far parte di un campo base come detto così affollato. Perché vedo dei vantaggi innegabili ma vedo anche dei pericoli altrettanto innegabili. Il vantaggio risiede nel fatto che la condivisione di uno sforzo immane come scalare il K2 d’inverno, se lo fa un gruppo di settanta persone (nel caso riuscissero ad andare d’accordo), beh vuol dire frazionare di molto lo sforzo: è una rotazione continua, il lavoro non si ferma mai ed in questo caso probabilmente – io lo spero - qualcuno potrebbe riuscire ad andare in cima questo stesso inverno. Ma se non vanno d’accordo e impostano tutto come "gara", allora veramente diventa una roulette russa o meglio potrebbe diventarlo, perché nascerebbero delle tensioni e delle competizioni e sul K2 – d’inverno – è meglio non far gare… Io non penso che nessuno non abbia questa lucidità. Però ci sono anche alpinisti non così… rodati e non così… esperti, che potrebbero quindi cadere nella tentazione di un arrivismo cieco e sordo.

 

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