L’anti-icona Vratislav Gresko

Un calciatore che ha fatto la storia. Nel modo sbagliato

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Come cambia la vita in un anno e mezzo, a volte è sufficiente un secondo per passare da “giovane promessa” a “solito stronzo”, parafrasando il grande Alberto Arbasino, e senza nemmeno passare da “venerato maestro”. Un momento basta, tipo un retropassaggio di testa al portiere che cambia la storia di un campionato, di un club, di uno sport. Cos’avrebbe fatto un altro giocatore al posto di Vratislav Gresko quel pomeriggio del 5 maggio 2002, quando il primo tempo di Lazio-Inter stava per concludersi? Avrebbe buttato la palla in calcio d’angolo per non rischiare? Avrebbe tentato un rinvio il più lontano possibile? O si sarebbe comportato esattamente come il terzino slovacco, regalando il gol a Poborsky? Dire Gresko è sinonimo di sciagura, specie dopo che, a tanti anni di distanza, si è scoperto che il diretto interessato il giorno dopo la sconfitta dell’Olimpico era a fare shopping in centro a Milano rischiando il linciaggio, incurante della tragedia (sportiva) provocata. C’è stato però, appunto, un periodo in cui l’attuale imprenditore teatrale era davvero una giovane promessa del calcio.

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