FORMULA 1

Quando eravamo re: Ronnie Peterson e la sua Monza, trionfale e fatale

Il campione svedese avrebbe oggi settantasette anni. Due volte vicecampione del mondo, perse la vita al via del GP d'Italia del 1978.

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La visiera di plastica gialla imbullonata al casco blu, i colori della bandiera svedese ed al tempo stesso un marchio di fabbrica, quasi quanto la sua naturale velocità: Ronnie Peterson! Non riusciamo nemmeno ad immaginarlo anziano, placido e appesantito. Lui che oggi, giorno di San Valentino, festeggerebbe appunto il suo compleanno. Lo abbiamo invece lasciato nel pieno dell'esistenza, trentaquattrenne e fortissimo, in prossimità della staccata della Prima Variante di Monza: una fiammata altissima ed improvvisa, un ricordo vivissimo.

Trentaquattro anni, come quelli di Senna ad Imola nel 1994, due più di quelli che aveva Villeneuve a Zolder nel 1982. Gilles più di Ayrton, però. Perché - al pari del canadese - nemmeno a Peterson riuscì di vincere il titolo: non ne ebbe il tempo, non era destino. Entrambi vicecampioni: il ferrarista nel 1979, Ronnie da Orebro addirittura due volte, emblematiche. La prima nel 1971, alle spalle di Jackie Stewart, grazie a cinque piazzamenti sul podio in undici GP e solo alla sua seconda stagione nel Mondiale! La seconda volta invece postuma, vicecampione alla memoria nel 1978, al termine di quel Mondiale dominato dalla Lotus, nel quale lo svedese era - da contratto - la seconda guida di un team che aveva per capitano e "campione designato" Mario Andretti e schierava la Lotus 79 ad effetto suolo, un passo avanti (anche due) rispetto alla concorrenza. Ferrari e Brabham-Alfa Romeo in testa: Gilles, Reutemann, Niki, Watson.

Nel team che aveva per simbolo le quattro iniziali "aggrovigliate" di Anhony Colin Bruce Chapman, Peterson era tornato proprio ad inizio anno, dopo avervi già militato  dal 1973 al 1975, lasciandola dopo il primo GP del 1976, stagione che Ronnie proseguì alla March, la Casa per la quale aveva corso dal 1970 - la stagione del debutto - fino al 1972. 

Forse però, nell'immaginario collettivo, nella galleria come detto sopra "vivissima", agli scatti della visiera gialla su casco blu e della vampa altissima tra le piante secolari del Parco di Monza, dobbiamo (vogliamo) aggiungere quello della Tyrrell P34 a sei ruote che colpiva l'immaginazione (ancora lei!) e rendeva Ronnie ancora più marziano, ancora più speciale e temerario. Nella sua versione B, lo svedese la guidò al terzo posto nel GP del Belgio del 1977 vinto dal suo connazionale Gunnar Nilsson - al suo unico successo in F.1 - davanti a Niki Lauda con la Ferrari. Un doppio podio per la Svezia, mai più ripetuto. Sul gradino più alto Ronnie ci salì - eccome - nel corso della sua carriera nel Mondiale. Per dieci volte: cinque con la March, cinque con la Lotus. Dieci come James Hunt che (passando alla Wolf) sarebbe stato sostituito proprio da Ronnie nel 1979 alla McLaren. Quasi un terzo dei suoi successi lo svedese li colse proprio sulla sua pista del destino che -  a metà degli anni Settanta - era diventata suo terreno di caccia prediletto, quasi esclusivo: tre successi in quattro anni!

Un vero "re" di Monza, Ronnie.

E Monza... quasi una contea nordica, un fiordo scandinavo e verdissimo, che profumava di boschi e di benzina. A settembre.

Primo nel GP d'Italia del 1973 ed in quello del 1974 con la Lotus. Poi, dopo... l'intermezzo di Clay Regazzoni nel 1975 con la Ferrari, ancora nel 1976 (ventiquattro soli mesi prima del rogo) al volante della March, subito dopo il divorzio dalla Lotus stessa. Il sole sarebbe calato all'improvviso sulla "primavera scandinava" della Formula Uno. Già perchè - poco più di un mese dopo aver presenziato al funerale di Ronnie, morto per embolia all'indomani dell'incidente - una malattia incurabile si portava via Nilsson (di quattro anni più giovane), del quale proprio Peterson aveva preso il posto alla Lotus nel 1978.

 

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