Caro Luciano: lettera a un allenatore

Era tempo che non ascoltavo un allenatore difendere i miei colori in maniera così convinta. Quindi...

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Ho mille difetti ma non l'ipocrisia e inizio mettendo in chiaro che, a me, il gioco espresso dall'Inter di Spalletti è piaciuto di rado. Detto ciò ho trovato comunque esaltante l'esperienza di Luciano nostro sulla panchina nerazzurra; sì, d'accordo, forse ama filosofeggiare in maniera eccessiva, ma era tempo che non ascoltavo un allenatore difendere i miei colori in maniera così convinta. Perché il lavoro di Spalletti, dal mio personalissimo punto di vista, va diviso in due piani ben distinti; da una parte quello comunicativo, dall'altro quello tecnico. Iniziamo dal primo.

Luciano nostro diventa, in breve tempo, il parafulmine di tutto ciò che capita nell'ambiente nerazzurro. Assomiglia, in questo, a Mou, specialista nell'arte della provocazione. Spalletti non è solo il condottiero in panca; è quello che difende l'Inter dagli attacchi, a suo giudizio, preventivi, dalle considerazioni che lui ritiene fuori luogo, dalle cattiverie che si raccontano e, sempre secondo la sua opinione, non appartengono alla realtà. Riporta nella tifoseria un senso di appartenenza ai colori che covava sotto la cenere. Non è un caso se nei due anni del suo interregno il pubblico ha risposto alla grande; decimi in Europa per presenze allo stadio lo scorso anno, quinti questo. Numeri, non invenzioni. E Spalletti è l'artefice del nuovo interismo. Spesso solo, contro tutti.

Tecnicamente e tatticamente, al contrario, non mi ha mai convinto. Squadra ancorata ad un monocorde 4231, ricerca dell'equilibrio costante, mai un'invenzione, una follia, qualcosa che risvegliasse gli istinti primordiali di una tifoseria, quella nerazzurra, abituata da sempre a vivere di pancia, non di cervello; l'interista è istintivo, raramente razionale. Ecco perché molti tifosi non hanno gradito il continuo possesso palla, le poche verticalizzazioni, un attaccante in mezzo all'area prevedibilmente francobollato dagli avversari, le rare soluzioni offensive (57 gol sono davvero pochi distribuiti su 38 partite), i pochi tagli degli esterni verso il centro, nessuno che andasse nello spazio. Nulla di travolgente. Tutto secondo un copione scritto e da rispettare. Scolastico, insomma.

Sulla vicenda Icardi non entro nel merito; nessuno, sottolineo nessuno, sa come sono andate le cose realmente, quindi esprimere giudizi ed opinioni lo trovo fuori luogo. So per certo che un compito aveva Luciano nostro; riportare la Società nell'Europa dei grandi, dopo anni di nulla. Ha accontentato i suoi diretti superiori, pur se a fatica.

Se ne va? Sì. Mi strapperò le vesti? No. Ma lo ringrazierò comunque per ciò che ha fatto. Molto uomo, poco quaquaraquà. E, per me, resterà sempre uno di famiglia.
Ad Maiora, Luciano.

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