L'insostenibile leggerezza di Michael Owen

Compie 41 anni un talento che si è bruciato

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Michael Owen, classe ’79, è il tipico giocatore per cui la rapidità è sempre valsa molto, e a tratti tutto. Quasi che fosse dominato dalla perenne ansia di arrivare prima. Prima all’esordio, prima sul pallone, prima in ogni record da battere. Se ci si ferma al dato anatomico, questa tensione allo scatto appare ancor più sorprendente: non particolarmente alto, impostato com’è su due ampie spalle e un tronco solido, il giovane Michael non è esattamente lo stereotipo della folgore. E a diciott’anni, col viso tondo e le guance glabre, il taglio corto e un ciuffo accennato sulla fronte, non mette certo in mostra un physique du rôle da capocannoniere della Premier. Eppure quando gioca a pallone sembra sempre in procinto di balzare come uno stambecco.

Istintivo ma aggraziato, capace di precipitarsi sul punto esatto dove cadrà la palla ancor prima che gli altri ne abbiano intuito la traiettoria. In un certo senso questa dissonanza tra parvenza e realtà, tra species fisica e res realizzativa, non può che lasciare basito chi non lo abbia mai visto prima in azione. E forse anche Ayala, Vivas e Chamot – titolari della nazionale argentina al mondiale del 1998 – avranno avuto la stessa confusa impressione passandogli a fianco, lungo il tunnel che al “Geoffroy-Guichard” di Saint-Étienne collega gli spogliatoi al rettangolo di gioco. Goleador, quello lì? Mah.

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