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L'ipocrisia occidentale sul Qatar

Il potere (mediatico) dei più buoni

24 Dic 2021 - 09:14

Romain Gary diceva che la provocazione è una forma di legittima difesa, ed è con questo spirito che vogliamo fare gli avvocati del diavolo qatariota. Sia chiaro, in più occasioni abbiamo criticato la scelta di affidare il Mondiale allo Stato arabo: per l’assegnazione in sé, per i rapporti poco chiari che hanno portato a quell’assegnazione e soprattutto per il trattamento dei lavoratori – che poi il fatto che si giochi d’inverno, e con l’aria condizionata, dovrebbe bastare a squalificare l’evento in partenza.

Eppure dopo tutte le solerti prese di posizione di quel marciume che sa di buono dell’Occidente, sempre in prima fila quando si tratta di bacchettare, stigmatizzare e mostrare la retta via, dopo tutte le battaglie impegnate, i caschi arcobaleno, gli appelli degli artisti, le frasi fatte dei politicanti, le magliette di protesta, i #boycott (in teoria) e le campagne di sensibilizzazione (in pratica), dopo tutto questo copione così prevedibile e stucchevolmente impegnato quasi quasi ci viene da empatizzare con gli sceicchi. Volevate un #equalgame? E ora invece andate in un Paese che sconsiglia agli omosessuali le “manifestazioni pubbliche di affetto”, e l’avete pure voluto voi! Boicotterete? Sì come no, davanti alla televisione.

Scherzi e provocazioni a parte, per fortuna non siamo i soli a mettere in discussione la favola del lupo cattivo qatariota – narrata per giunta dal cappuccetto rosso occidentale.

Sul prestigioso settimanale tedesco Die Zeit, come riporta “Lo Slalom”, Oliver Fritsch ha fatto un po’ la parte del battitore (e del pensatore) libero, denunciando il doppiopesismo e l’approssimazione circa i discorsi sullo stato arabo: il Qatar non è l’Arabia Saudita, il senso del suo contributo, dove si arriva addirittura a far sparire giornalisti scomodi (ma ciò nonostante si corrono granpremi e disputano Supercoppe). «È più liberale dei suoi vicini», si trova in un percorso di transizione verso quella modernità tanto cara alle nostre latitudini ed è alle prese con «cambiamenti che richiedono tempo». 

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