Crudele e animalesco, venuto per sbranare il tennis
A guadarlo, Carlos Alcaraz, già destabilizza in partenza. I segni dell’acne giovanile, e i primi accenni di barbetta e baffi post adolescenziali sul volto, fanno da contraltare a un fisico già in buona parte formato. Una muscolatura possente sviluppata con un lavoro metodico, martellante e con metodi innovativi. Così vuole l’agenda dei nuovi prodotti d’eccellenza dello sport globale – in tal senso fa quasi impressione pensare che, già l’anno scorso, Alcaraz abbia approfittato di «un trattamento ecoguidato con plasma arricchito di piastrine» come scrive Gazzetta, una terapia innovativa di infiltrazioni supervisionata dal medico Juanjo López: un po’ estremo per un ragazzo di 17 anni, ma pare che il treno del successo non aspetti nessuno.
Ad unire corpo e volto in un tutt’uno è la mimica dello spagnolo: lo sguardo, ingenuo e liceale fuori dal campo, dentro si autoregola sulla modalità cannibale. Il sorriso impacciato e il tono timido nelle interviste, coi quali tradisce emozione e disabitudine, si trasformano sul court in urla belluine ed espressioni guerresche. Due anime che ancora convivono per forza di cose, quella da teen-ager (almeno per un altro anno) e quella da tennista affermato: numero 32 del mondo, fresco vincitore delle ATP Next Gen Finals, con scalpi prestigiosi già accumulati (su tutti il numero 3 del mondo Tsitsipas agli US Open, ma anche il nostro Berrettini) e un titolo maggiore all’attivo (il 250 di Umago).
Ciò nonostante, almeno sulla carta, pur sempre un diciottenne.
Cresciuto agli ordini di Juan Carlos Ferrero nell’accademia di Alicante, dove viveva fino a poco tempo fa in un prefabbricato di 25 metri quadri, secondo il sito ufficiale dell’ATP Carlos Alcaraz è alto 1.85 cm (e va bene, anche se può ancora guadagnare qualche centimetro) e pesa 72 kg (già oggi una stima abbastanza irrealistica). Classe 2003, nel Circus se ne parla da tempo ma il mondo lo ha scoperto solo negli ultimi mesi: quando ha iniziato a giocare con i grandi, alcuni li ha anche battuti, ma soprattutto quando ha fatto vedere di cosa è capace; non tanto e non solo come risultati, bensì come gioco e presenza in campo.
Paolo Bertolucci due settimane fa – nella telecronaca del match tra i nuovi prodigi del tennis contemporaneo, lo stesso Alcaraz e Sinner – ne ha parlato come di un giocatore “letteralmente unico”, nel senso che «il suo stile di gioco non assomiglia a quello di nessun altro, sembra l’evoluzione di quello di Rafa Nadal». In quella partita, in cui lo spagnolo ha infranto definitivamente i sogni di gloria di Jannik per le Finals di Torino, il pubblico italiano ha imparato davvero e suo malgrado a conoscerlo: Alcaraz non solo ha battuto Sinner in due set (7-6, 7-5) ma lo ha fatto asfissiandolo, travolgendolo, strapazzandolo. Un risultato bugiardo, si dice in questi casi, ma a “sfavore” del vincente, che avrebbe meritato anche un punteggio più largo.